17 e 70 suonano in inglese molto simili: seventeen e seventy, a parte l’accento posto sull’ultima o terzultima sillaba una differenza minima. Il mio quarto e penultimo nipote ha due anni e inizia a parlare un po’ ferajese e un po’ inglese, e in breve sarà in grado di dire: “My grandad will be seventy this year” (il mi’ nonno quest’anno finisce settantanni) seventeen, invece, diciassette, li compirà suo fratello maggiore.
Tra quelle due parole così simili può trascorre una intera vita.
Ho appena lasciato un luogo dolente e mi vengono in mente altre parole in iglese dolenti e feroci
“And I hope that you die
And your death'll come soon
I will follow your casket
In the pale afternoon
And I'll watch while you're lowered
Down to your deathbed
And I'll stand o'er your grave
'Till I'm sure that you're dead”
Sono i versi dell’ultima strofa di “Master of War” signori della guerra, mercanti di morte, una canzone di Bob Dylan:
E spero che moriate
e che la vostra morte arrivi presto
Seguirò la vostra bara
nel pomeriggio pallido
Veglierò mentre siete sepolti
nel vostro letto di morte
e resterò sulla vostra tomba
finchè sarò sicuro che siete morti
Ritornava il gioco del 17 e del 70, avevo proprio 17 Anni quando la cantavo, in un inglese incerto, su un improvvisato palco in una fumosa e gremitissima saletta trasformata da sezione in teatro, la cantavo con poca grazia e tanto fiato quella canzone truce, che più di mezzo secolo dopo potremmo pure tornare a cantare, perché i mercanti di morte, i signori della guerra sono intorno a noi e spesso siamo noi, perché come spacciatori di armi siamo forti noi italiani.
Ho provato a ricordare chi c’era con me, a confezionare quello spettacolo “politico”, mi sono passati davanti tutti: Dimitri Campani, Mariangela Tognarini, Roberto Ginanneschi, Grazia Burelli, Luciana Landini; ad accompagnarci c’erano le chitarre di Patrizia Tognarini e (mannaggia mi son scordato il nome) De Luca, sotto il palco il soggettista-organizzatore Danilo Alessi e il regista Lorenzo Buchignani i “tecnici” in fondo alla sala erano Emiliano Venturucci e “Ringo” che pensavano alle luci.
Ringo, ci sono rimasto di stucco.
Ero andato là per salutare per l’ultima volta il mio vicino di casa Paolo, che vedevo ogni giorno, e mi sono visto spiattellare sul muso Ringo, che forse avevo incontrato per l’ultima volta nel secondo millennio, Ringo declinato in modo anagraficamente corretto: Sergio Vannucci anni 70 (ancora) e ho appreso che la sua di luce si era spenta domenica.
Ma non vi aspettate una “chiusa” sulla caducità umana
Allontanandomi ho continuato a pensare a quello spettacolo ispirato dal “Vi parlo dell’America” di Giovanna Marini, ed ai temi che trattava: la mostruosità della guerra, le discriminazioni razziali, l’odio e la paura degli stranieri, la silente complicità degli indifferenti verso i nazisti, la disoccupazione e lo sfruttamento dei lavoratori.
Mezzo secolo fa e spiccioli o ancora oggi?
Listen Mister Bilbo …“Ascolta Mister Bilbo, ovunque tu sia ti voglio dare una lezione di storia, ascolta e di dimostrerò che gli stranieri che tu odi, sono la vera gente che ha fatto grande l’America…”
Temo che chi parla di un mondo post-ideologico, dell’assenza di differenze tra destra e sinistra, dell’inutilità della politica, non abbia capito un cazzo. Ci sarà sempre una visione del mondo più progressista ed una più conservatrice, a cui riferirsi (meglio se elaborando un proprio originale punto di vista)
Dobbiamo tornare ad occuparcene di politica, si abbia 17 o 70 anni (Seventeen or Seventy), in tutta pulizia, disinteresse, onestà e rispetto di chi la pensa diversamente da noi.
Dobbiamo tornare a discutere e ad appassionarci e farlo confrontandoci con persone fisicamente reali, senza rincoglionirci dietro uno schermo.
Dobbiamo tornare ad essere cittadini senzienti, critici, coscienti, partecipanti.
E la politica è soprattutto il quotidiano non ha quasi mai bisogno di gesti eclatanti.
Accendere un faretto (come faceva allora Ringo) per dare risalto ad un’ingiustizia, è già buona politica.