Cari lettori, questa sera mi sono ritrovato a pensare alla mia camera di “ragazzo rosso”, con la libreria che strabuzzava di libri che parlavano di anarchia, comunismo, socialismo e rivoluzione con i poster dei miei eroi di allora appesi alle pareti: Einstein dissacrante che faceva la linguaccia, la barba severa di Karl Marx (oggi forse gli preferirei i baffi Groucho Marx, che l’assessore non sa chi sia, ma poco male), un inusuale Ché rilassato su una poltrona da giardino con un grosso avana fumante … tre manifesti 70x100 che giganteggiavano in quel piccolo locale occupando quasi tutto il possibile spazio di affissione; quasi, perché in effetti c’era una quarta immagine più piccola, dove era effigiato un vecchietto vietnamita dall’aria bonaria che contrastava non poco con le cinque parole brucianti e perentorie di una frase dello “Zio Ho” scritte sotto: “Urlino le ingiustizie del mondo!”.
Avevo appena, tramite la TV, sentito urlare un’ingiustizia tremenda: quella del triplo suicidio di Civitanova, e mi era montata dentro una fortissima incazzatura, di quelle di una volta, più degne del ragazzo rosso, del Matto delle Giuncaie (come mi chiamava Uberto, citando Neri Tanfucio, che il sindaco ignora chi sia, ma c’è di peggio) che del pacifico nonno in cui si è evoluto.
Quei tre morti per incuria di una società cialtrona, quei tre crepati per difetto di sociale solidarietà, per il cinismo e l’incompetenza degli sgovernanti che hanno ridotto in venti anni di barbarie politica quasi tutto un popolo con le toppe al culo, li ho sentiti, fisicamente, chiudermi la bocca dello stomaco.
Mi sono riconciliato col mondo solo poco dopo guardando mia nipote che mangiava vorace e felice la sua pappa commentando: “buono” alla sua maniera, cioè ruotando la punta del ditino sulla guancia. E’ allora che ho pensato ad una nuova rivoluzione ad una specie di nuova presa del Palazzo d’Inverno (consigliere lo so che non sa cosa sia, a suo tempo doveva studiare invece di giocare alla battaglia navale) da riprendere non in bianco e nero ma nei colori della primavera, una rivolta in cui non si scorgano le facce truci del lumpenproletariat moscovita, ma quelle allegre dei bambini d’Italia che assaltino in massa i palazzi del potere e ne serrino i portoni imprigionandovi tutti i supposti onorevoli e maggiorenti e loro tirafili e tirapiedi senza eccezione alcuna: vecchi rincoglioniti saccenti e giovani leoni ignoranti e coglioni di nascita, che ripropongano l’edizione aggiornata del conclave leggendo ai sequestrati l’Editto di Frida:
“Io Frida Prima, dell’età di mesi 15, di professione bimba e in rappresentanza di tutti i bimbi e di quelli di cui sembra che ve ne fregate, in rappresentanza dei babbi e delle mamme senza lavoro, in rappresentanza di quei nonni che avete ridotto alla fame, in virtù dell’autorità conferitami dall’essere pure il vostro futuro, poiché siete stati cattivi, ladri, svogliati, disubbidienti, vanesi e tonti, poiché avete pensato solo all’affaracci vostri, ai vostri interessi, a fare i ganzi, decreto che restate qui in castigo nei vostri angolini e senza pappe (nemmeno una merendina) finché non la finite di litigare e finché non decidete cosa volete fare di questo paese e delle nostre vite”.
Insomma come direbbe Paolo Rossi ho fatto “un sogno all’incontrario” forse un po’ populista sì, però a 360° gradi, con nessuno ma proprio nessuno che possa fare, citando stavolta Valerio Caramassi, “la vergine nel casino”.
E ho finito coll’approdare proprio al punto di partenza agli anni dei poster alle pareti e a quel mio vecchio compagno tosto che ripeteva all’infinito la sua formula del successo politico: “Bisogna lavora’ … bigogna dassi da fa’ …”. Poveraccio … pensare che il su’ figliolo diventò craxiano e i su’ nipoti so’ fascio- berlusconiani. Ho Guardato Frida e “a naso” mi è parso di avere avuto più culo.