Questo tempo “sospeso” dal coronavirus rischia quest’anno di offuscare la Giornata internazionale della donna, che si celebra l’8 marzo. Invece il bisogno di ricordarla continua ad essere urgente, specialmente nel nostro Paese, dove purtroppo il tristissimo fenomeno della violenza di genere non conosce tregua né diminuisce quello dei femminicidi, sebbene si riduca il numero complessivo degli omicidi.
L’ultima vittima è stata Irina Maliarenko, una donna ucraina di 39 anni, madre di tre figli che, ricoverata al Pellegrini di Napoli in condizioni disperate – fegato e milza spappolati dal compagno – è morta poco dopo, durante le criminali devastazioni del Pronto Soccorso di qualche giorno fa. Così, la sua morte è passata sotto silenzio, ancora di più di tante altre sue compagne di sventura, una ogni tre giorni, italiane o straniere, che hanno perso la vita in circostanze simili in questi anni in Italia. Una vera emergenza nazionale, una tragedia inenarrabile per contrastare la quale tutte le armi sembrano spuntate e che ha fatto dire al presidente dell’Ami (associazione matrimonialisti italiani) Gian Ettore Gassani: «La famiglia e la coppia, nella loro veste patologica, oggi uccidono più della mafia»; e alla Ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese: "Il femminicidio è un fenomeno sul quale dobbiamo lavorare tanto. Dobbiamo lavorare molto sulla cultura del rispetto delle donne”. Ecco, forse è proprio questo il punto: il rispetto. Non ce n’è abbastanza: la nostra società, malgrado una patina superficiale di civile parità tra i generi, continua a essere profondamente patriarcale e sessista. Lo vediamo in mille occasioni: le donne, malgrado i grandi passi compiuti sulla strada dell’emancipazione, continuano a essere poche ai vertici dell’economia, della finanza, della politica, dei luoghi decisionali insomma. Nessuna donna è mai stata Capo di Governo né, tantomeno Presidente della Repubblica e chissà quant’acqua dovrà scorrere ancora sotto i ponti, perché ci siano almeno delle candidature al femminile in tali ruoli apicali. Ma questa è solo la punta dell’iceberg; anche livelli sociali molto meno prestigiosi, le donne latitano: in Italia le lavoratrici sono troppo poche in confronto agli altri Paesi occidentali e mediamente peggio retribuite; in compenso su di loro gravano pesi sociali enormi, che vanno dall’accudimento dei figli a quello dei genitori anziani, mancando, specialmente nelle aree meridionali, asili nido o altre strutture di supporto che permettano di conciliare vita professionale e familiare.
Per fortuna, invece, sono moltissime le ragazze che studiano, ottengono brillanti risultati e riescono a laurearsi: questo fa sperare in un futuro più “rosa”, sempre che vengano rimossi dal legislatore intelligente tutti gli ostacoli materiali e mentali che spuntano le ali a tante giovani donne, relegandole, per eccesso di difficoltà, ai ruoli tradizionali. Che, per carità, sono importanti e preziosi, ma non devono essere esclusivi e soprattutto, devono essere, eventualmente, frutto di scelta consapevole e non risultato di una costrizione.
L’8 marzo non è “la festa della donna”, è una giornata a lei dedicata e celebrata a livello mondiale in cui è giusto ricordare i progressi compiuti, ma in cui è ancora più necessario riflettere “sullo stato dell’arte” della condizione femminile, specialmente non occidentale, dove i crimini contro bambine, ragazze, donne, ancora più che da noi, sono amarissimo pane quotidiano: dall’aborto selettivo alle mutilazioni genitali; dal tristissimo fenomeno delle spose bambine agli stupri sistematici e agli abusi di ogni tipo, dall’ esclusione dal diritto allo studio fino ad una generalizzata emarginazione e sopraffazione.
Dunque, la prossima domenica, scambiamoci o regaliamoci la bella mimosa che ci mette allegria, ma soprattutto rinnoviamo – in compagnia degli uomini che vogliono il nostro bene (e non semplicemente che “ci vogliono bene”) –, l’impegno a lottare per un mondo dove anche “l’altra metà del cielo” abbia pieno diritto di cittadinanza e dove possa esprimere tutta la propria fantasiosa potenzialità. Perché un mondo dove le donne sono uguali e libere non può essere che un mondo migliore dell’attuale.
Maria Gisella Catuogno