“Sed libera nos a malo”. Così si conclude la prima preghiera dettata, secondo la tradizione evangelica (Mt 6,13; Lc 11,4), da Gesù di Nazareth ai suoi seguaci. Il latino “Malus” è modernamente tradotto con “Maligno”, lo spirito del male.
Mi è capitato di riflettere, in questi giorni foschi, al timore che sempre ha percorso gli uomini nei momenti di incertezza, quando ogni pensiero sensato pare incapace di lenire l’angoscia. E ognuno ha dato e dà corpo a quel timore in figure differenti -il Demonio, come nella preghiera ricordata-, ma tutte riconducibili all’idea del Nemico. Lo spirito del Male, il respiro del Nemico dell’amore che toglie la vita, al contrario del respiro del Dio dell’amore (lo Spirito santo) che dà la vita ad Adamo rendendolo simile e somigliante a sé. Il Demonio, dunque; ma anche gli Spiriti, i fantasmi, che si muovono nell’aria appunto come refoli di vento, destabilizzando tutto e soprattutto la nostra pace. Ma non voglio addentrarmi in materia che non mi appartiene. Invece il Nemico odierno ha un nome e una identità: Coronavirus o Covid-19. Moltissimi ricercatori in tutto il mondo lo stanno studiando e cercano intanto armi per contrastarlo o limitarne la pericolosità.
Spesso, di fronte alla pervasività del contagio, si sentono rammentare antiche testimonianze di analoghi contagi nel corso dei secoli della nostra storia, rese note e celebri dalle narrazioni di celebri autori.
“Dico adunque che giá erano gli anni della fruttifera Incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti dimilletrecentoquarantotto, quando nell’egregia cittá di Firenze, oltre ad ogni altra italica nobilissima, pervenne la mortifera pestilenza, la quale o per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’innumerabile quantitá di viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, inverso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. Ed in quella non valendo alcun senno né umano provvedimento, per lo quale fu da molte immondizie purgata la cittá da uficiali sopra ciò ordinati e vietato l’entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazione della sanitá, né ancora umili supplicazioni non una volta ma molte ed in processioni ordinate ed in altre guise a Dio fatte dalle divote persone; quasi nel principio della primavera dell’anno predetto orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti, ed in miracolosa maniera, a dimostrare”.
Così il Decameron di Giovanni Boccaccio, con il richiamo alle “nostre inique opere”, inaugurava la descrizione della terribile peste nera del 1348, che produsse la morte di un terzo (si dice) della popolazione del tempo in tutta Europa -che vuol dire in tutto il mondo d’allora-.
E non è improprio sottolineare che le “inique opere”, descritte nelle cento novelle che seguono, si riassumono in quella “epopea dei mercanti”, del loro egocentrismo, della loro violenza, del loro cinismo, che i dieci giovani novellatori narrano con gusto spietato celebrando nel contempo la nobiltà e i piaceri dell’amore cortese.
Ancor più nota e frequentemente ricordata è la descrizione della peste del 1630, iniziata a Milano in primavera, e ampiamente raccontata da Alessandro Manzoni nei capitoli XXXI e XXXII de I promessi sposi.
“La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia. Condotti dal filo della nostra storia, noi passiamo a raccontar gli avvenimenti principali di quella calamità; nel milanese, s’intende, anzi in Milano quasi esclusivamente: ché della città quasi esclusivamente trattano le memorie del tempo, comeun di presso accade sempre e per tutto, per buone e per cattive ragioni”.
La narrazione manzoniana presenta grandi analogie con la situazione ora generatasi con la diffusione del Coronavirus, ma ovviamente le condizioni e le forme sono abissalmente lontane. Analogo è invece il senso di sbigottimento di fronte a un Male oscuro e crudele, e il senso di impotenza che pervade tutti coloro che ne sono in vario modo investiti.
Potremmo anche ricordare le epidemie di colera ricorrenti nel passato a Napoli, o l’epidemia “Spagnola” di cento anni fa. O le meno note perché più “lontane” ma ugualmente terribili epidemie che colpiscono i Paesi dell’Africa, o l’India misteriosa; o il ben noto Morbillo che ogni anno uccide moltitudini di bambini.
Ma sarebbe bene, sarebbe necessario, ricordare un’altra Pestilenza terribile e sempre presente nel mondo, che si chiama Povertà -oggi ben rappresentata dalla incredibile iniquità della distribuzione della ricchezza e delle risorse economiche-, e che con sempre maggiore difficoltà possiamo ormai nascondere sotto il velo dell’indifferenza, perché -come la Peste Nera, la Peste del Manzoni, le altre epidemie- ci è sempre più vicina, lambisce le nostre città e le nostre case, turba la nostra sicurezza e la nostra pace.
Di tutte queste realtà non sono mai mancate notizie, come pure echi più o meno vaghi delle pesti letterarie. Non è mai mancata neppure la percezione della dimensione “etica” della Peste, espressamente richiamata come nel Boccaccio, vagamente sullo sfondo come in Manzoni, affidata alla metafora come nel romanzo di Camus. Ma oggi, quando il male oscuro che diffonde il Coronavirus ci sta addosso, ci imprigiona nelle nostre case e nei nostri corpi, ci consegna alla paura e alla necessità di ribellarsi alla paura; quando la lotta alla diffusione del contagio ci obbliga a convivere “col tarlo mai sincero/che chiamano pensiero”; oggi con la nostra finitezza umana conclamata e conturbante ci troviamo a domandarci se davvero andava e va tutto bene, a parte questo virus crudele e inafferrabile; se davvero questo, che ora ci appare così urgente e angosciante, è il solo male del nostro tempo. Se a noi stessi che, come concludeva sabato Mario Tozzi nella trasmissione “Sapiens”, ci siamo proclamati “dei” del mondo, non dobbiamo rivolgere l’antica preghiera: “Libera nos a Malo”, quello spirito del male che noi stessi generiamo per poi stupirci quando lo vediamo riflesso nei comportamenti della natura.
Avremo da ricostruire tante cose quando sarà finita questa nostra peste odierna: strutture produttive, infrastrutture, servizi, rapporti, contatti, amicizie. Non poniamoci limiti nel compiere il progetto di revisione della nostra convivenza. Fughiamo i coni d’ombra che nascondiamo negli angoli della nostra vita comune. Perché dopo tutto questo torni a splendere un sole pieno. Let the sunshine in.
Luigi Totaro