Caro Sergio,
finalmente sono potuto ritornare al Grigolo! Il 4 mattina ho avuto notizia della riapertura dei cancelli e nel primo pomeriggio sono uscito di casa. Solito percorso: piazza Padella, via Roma, via Carlo Bini e scalinata. Mi ha accolto di nuovo un vento di scirocco, non gradevole come l’ultima volta che c’ero stato, ma piuttosto forte e fastidioso. E faceva anche un po’ freschino. Ho rimpianto il giubbotto che, ingannato dal sole, avevo lasciato a casa. Comunque ho resistito. Non potevo rinunciare, dopo quasi due mesi di chiusura!
A metà scalinata mi sono fermato a guardare tre ragazzi che giocavano con un pallone nel campetto sottostante.Nel pieno rispetto delle regole di comportamento. Uno faceva il portiere e due tiravano delle belle “bordate” in porta. Mentre li guardavo, ho ripensato ad alcuni momenti indimenticabili della mia adolescenza.
Alla partita giocata in un brutto pomeriggio di febbraio con una tramontanata che portava via e sotto una vera e propria tormenta di neve. Avevo quasi 13 anni. Era la nevicata del ’56. Ma nessuno pativa il freddo.
Ad un’altra partita, molto importante e sentita, non ricordo per quale motivo, che la mia squadra riuscì a vincere per due reti ad una. Non certo per merito mio, perché ero una discreta schiappa, ma per merito di un mio vecchio amico, Franco Bardino, che parò un rigore concesso negli utlimi minuti alla squadra avversaria.
A quei pomeriggi finiti male, quando dovevamo smettere di giocare per la visita inaspettata di una Guardia comunale. Appena la vedevamo scendere dalla scalinata, buttavamo in mare il pallone per evitare che ce lo sequestrasse. Quando era vento di scirocco, il Vigile si fermava ad aspettare che ritornasse a terra, mentre noi lanciavamo dei sassi piuttosto grossi per fare in modo che si allontanasse. Ci divertivamo un mondo. Applausi a chi riusciva a colpire in pieno il “corpo del reato”! Il mancato sequestratore, invece, si innervosiva, minacciava anche di informare qualche genitore del nostro, a suo avviso, scorretto comportamento. E dopo qualche tempo decideva di rinunciare alla agognata “preda”. Ma quando il vento soffiava da nord o era di libeccio, il pallone prendeva il largo e lo perdevamo. Il sequestro, invece, veniva quasi sempre eseguito con successo quando la Guardia, furbescamente, sbucava all’improvviso dal piccolo tunnel di via dell’Amore. Ed era in genere inutile ogni nostro tenativo di “intenerirla”. Dovevamo pagare tutte le malefatte commesse in precedenza.
Stando fermo a guardare quei ragazzi, mi era venuto freddo. Ho ripreso a camminare, andando verso il faro. E nella mente si sono accesi altri piacevoli ricordi.
Le lumache raccolte sotto i cespulgi, a settembre, quando la pioggia lasciava il posto al sole. Spurgate per tre giorni e cotte in umido con la nepitella . La legna che raccoglievo d’inverno sotto il bastione del Forte Stella per alimentare la stufa economica, unica fonte di calore nella mia casa in piazza Padella, dove la temperatura media d’inverno era di 14/15 gradi. Il “fortino” realizzato con canne, cartoni e qualche tavola a metà della ripa e a ridosso del muro che dal Forte discende verso il mare. Le ore passate a difenderlo come “soldato” o a conquistarlo come “indiano”. La parte dell’indiano, ad essere sincero, mi piaceva poco, perché spesso chi era dentro il fortino, senza tanti riguardi,tirava qualche sassata. Ed ancora le pecore che pascolava il babbo di un altro mio vecchio amico, il Cenciarelli Rizieri. Un giorno, per una improvvisa ventolata accompagnata dalla pioggia, cominciarono ad andare in ogni direzione. Fummo chiamati per cercare di ricostituire il piccolo gregge. Ci riuscimmo: un’avventura meravigliosa! Rientrai a casa molto soddisfatto, ma molto più tardi del solito e in più “bagnato mezzo” perché, durante le operazioni di inseguimento delle pecore, piovve davvero a dirotto. Fui severamente punito. Dopo aver preso dalla mi’ mamma un ...... sonoro “stiaffo” sulla guancia sinistra, piangendo, mi misi a fare le lezioni per la scuola. Finite le lezioni cercai, in qualche modo, di giustificarmi, ma ogni mio tentativo fu vano. La condanna era ormai definitiva: fui mandato a letto presto, senza cena. E senza il prete con lo scaldino.
Lo scirocco non mi dava tregua e il freddo mi stava entrando nelle ossa. Stai a vedere, mi sono detto, che domani mattina mi sveglio con mal di gola, tosse secca e un po’ di febbretta.Sarebbero tutti sintomi preoccupanti! Anzi, di questi tempi, sarebbe un gran casino! Ho ripreso allora la strada di casa.Nessun sintomo si è manifestato nei giorni successivi. E’ certo che camminare spesso all’aria aperta fa bene alla salute psico-fisica. E se poi ci aggiungi la dolcezza del “naufragar” in un mare di ricordi dell’età della spensieratezza, è ancora meglio.
Ti saluto
Giovanni Fratini
p.s.
Oltre al Grigolo, ai giardini delle Ghiaie o di Carpani, l’Amministrazione comunale non potrebbe consentire l’accesso anche alla Linguella e ai bastioni medicei? Non fanno parte integrante del tessuto urbano della città? O devono essere tenuti aperti solo quando ci sono i turisti? Cosa ne pensi, direttore?
Caro Giovanni, da sempre penso che la civiltà di un popolo si possa misurare in rapporto inversamento proporzionale, rispetto ai cancelli, cancellate, recinzioni e porte sbarrate che produce e appone.
Faccio parte anche io di una generazione di "bimbi cresciuti liberi" di scorrazzare tra i mille spazi aperti e mille anfratti, tra rovine di guerra non ancora sanate, di giocare a pallone sul piazzale della De Laugier, alla Vasca e anche al Grigolo, di infilarci nei cunicoli, ad esplorare, di fare il bagno d'ottobre al cantierino, negli scarichi d'acqua calda della vecchia centrale elettrica, di gironzolare a piedi o su vecchie biciclette rugginose per ore e ore, senza le fiatate iperprotettive sul collo di genitori apprensivo-rompicoglioni. E perdersi a giocare a Ciattella, alla Fresca Insalatina a Biri-Biri-Biri-Scarica-Barili
Figurati quanto sarei d'accordo rispetto alla restituzione di spazi di vita ai ferajesi e soprattutto ai più piccoli, alla possibile ristrutturazione di aree sempre più vaste della citta, liberate dagli ostacoli fissi e semoventi (scorreggianti SUV, supermoto assassine e compagnia) riconvertite "a misura di bambino".
Non mi auguro che il virus ci riconduca alla povertà diffusa (e anche drammatica) di quegli anni - nei quali però la forbice tra i poveri ed i benestanti era molto meno ampia, va detto, di oggi.
Mi auguro però che se ne esca più austeri (e non per questo meno allegri) in grado di avviare alla vita nuovi donne ed uomini capaci di rimettere i veri valori in giusta prospettiva, forti tanto da essere più di noi in armonia con l'ambiente, la solidarietà, la cultura, la bellezza, di non farsi distrarre ed abbacinare dagli status symbol (perdonerai l'anglicismo) in tutta la loro brillante vacuità.
Non siamo sempre stati (rincorrendo spesso le certezze che nessuno dà, l'illusione del "successo" a sacrificio zero) dei buoni maestri, ammettiamolo e cerchiamo almeno un riscatto in quel che ci resta di strada.
Sergio
PS Anche io voglio sperarci nella nuova amministrazione. memore però tanto del motto latino secondo il quale la Speranza è l'ultima Dea, quanto dell'adagio locale relativo alla fine ingloriosa di colui che visse sperando