Lunedi mattina in Duomo a Portoferraio abbiamo dato l’ultimo saluto a Paolo Rossi, conosciutissimo per aver gestito con la moglie Liviana e i figli Giampietro, Arianna e Roberto, il bar ristorante de Le Viste. Una famiglia che per circa vent’anni è stata l’anima viva della spiaggia incastonata nel centro storico.
Non erano semplici gestori, non solo lavoravano a Le Viste; vi investivano tutto quello che avevano sia delle loro risorse economiche che il loro capitale di umnità. La loro era una scelta di vita che amavano condividere con chiunque; la porta era sempre aperta. Più che un locale una comune o un porto di mare. Per noi assidui frequentatori, erano la nostra seconda famiglia e per certi aspetti la prima. Negli anni venditori ambulanti di ogni nazionalità, gente in cerca di riparo o semplici turisti improvvisati trovare a Le Viste aiuto e accoglienza.
Non mancavano i gruppi di personaggi “alternativi” che arrivavano da Livorno e da tutta la Toscana. Alcuni di loro dormivano in spiaggia al riparo di tende improvvisate e di giorno per lavarsi usavano il bagno di Liviana e Paolo. Questo loro modo d’essere, attirò negli anni, un numero sempre crescente di persone. Era un luogo in cui anche i "diversi" e gli "irregolari" si sentivano accettati per quello che erano, un luogo di sincera e profonda solidarietà.
La gestione del ristorante era faccenda di Liviana, non c’erano orari. Il menù era semplice: ti sedevi e mangiavi quello che c’era. Ed era buono. A noi che eravamo di casa, ci era permesso anche di andare in cucina per scegliere quello che volevamo mangiare, come si fa con un amico o un parente che ti piomba in casa affamato. Liviana era anche la mamma di tutti, soprattutto delle ragazze che passavano con lei ore a consulto per le loro pene amorose.
Noi maschietti invece, nelle ore centrali del giorno, ci sfidavamo a biliardino senza esclusione di colpi, all’ultima spuma. Spesso partecipava anche Paolo. Non gli piaceva perdere e quando succedeva volavano imprecazioni di ogni tipo. Era meglio girare alla larga.
E via allora di altre sfide: a chi arrivava prima allo Scoglietto a nuoto, a chi stava più sott’acqua e a chi si tuffava da più in alto.
Non credo esista un altro posto al mondo in cui tutti gli scogli, o quasi, hanno un loro nome. Partendo da est c’è la Colombaia con il Pianerottolo, il Paletto, la Gobba, la Pianticella e la Striscia Bianca. E ad ovest, partendo dalla spiaggia, un labirinto di rocce emergenti dal mare: la Prima Navetta, lo Scoglio del Sale, la Bavosa, la Seconda Navetta, la Piramide, lo Scoglio Piatto, la Terza Navetta e Punta Quadra. E per ultimi, quasi alle Ghiaie, il Cespuglio, il Bubbolone, il Muraglione e il Gronchetto.
Ognuno di questi scogli rappresentava un grado diverso di difficolta ed altezza. Scalare questi scogli significava scalare le gerarchie del gruppo; definiva la leadership. Ogni tanto accadeva che qualche giovane incosciente si spingesse un po' oltre le proprie possibilità per sovvertire la linea di comando. Di solito, in quel caso, giungeva il fischio di Paolo; ma non chiamava Zeus, il suo bellissimo terranova, ma noi. Ci richiamava all’ordine, all’attenzione. Un giorno qualcuno gli chiese: “Scusa Paolo, perché a noi fischi e il cane invece lo chiami per nome?” Lui con un sorrisino ironico rispose: “Perché lui capisce!” Paolo era famoso per le sue battute.
Come quella volta che un milanese, assiduo frequentatore della spiaggia, si presentò al bar con il volto insanguinato; si era ferito alla testa tuffandosi da uno scoglio. Lui lo guardò e poi disse avviandosi verso l’ape con la quale scendeva e saliva sul ripido stradello che conduceva alla spiaggia: “Sali sul cassone, ti porto a cuci' - e poi sottovoce - non ti preoccupà, se hai battuto il capo. Non hai mai capito una sega.”
Nel 2000 Paolo e Liviana hanno lasciato il locale ed io Le Viste. Non ho praticamente messo più piede in quella, che per moltissimi anni è stata casa mia. Le poche volte che l'ho fatto, sono scappato con addosso un senso di tristezza mista a smarrimento. Quel posto di cui conoscevo ogni aspetto, non mi apparteneva, non mi calzava più. Anche la luce mi pareva diversa. Quella luce che solo persone speciali come Paolo e Liviana sanno dare ai luoghi, anche ai più duri.
Sono certo però, che almeno nei ricordi delle persone che vissero quegli anni, questa luce non si affievolirà mai.
Ciao Paolo.
Stefano Muti