Il 15 luglio 1896, a Boston (Massachussetts), Pietro Gori dà il suo saluto all'America operaia. La sua tournèe poteva dirsi soddisfacente: l'Idea era stata esportata in ogni angolo degli Stati Uniti, e i circoli anarchici erano fioriti da una costa all'altra. Non fu certo l'unico esponente anarchico a fare propaganda sul suolo statunitense, ma fu di sicuro quello che lo fece in maniera più originale, e per questo vi lasciò un marchio duraturo, nonostante vi passasse pochi mesi.
Pietro non poteva certo saperlo, ma circa 30 anni dopo, nella grande città in cui stava arringando si consumerà un altro martirio anarchico. E questa volta ai danni di due italiani: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. La loro condanna a morte per omicidio e rapina in un processo a dir poco farsesco, scatenò un'ondata mondiale di proteste e mobilitò alcuni degli intellettuali di spicco statunitensi. Sono ricordati in un bel film di Giuliano Montaldo, la cui colonna sonora è di Ennio Morricone, che li ha eternati nella struggente “Here's to you”, con testo e voce di Joan Baez: “Here's to you Nicola and Bart, rest forever here in our hearts, the last and final moment is yours, that agony is your triumph!”. E chissà cosa ne avrebbe scritto il nostro Pietro, sensibile com'era a queste ingiustizie.
Pochi giorni dopo Gori, con la delega di alcune trade unions americane, partì per Londra dove si sarebbe tenuto il quarto congresso della Seconda Internazionale socialista, dal 27 luglio al 1° agosto. Sul piroscafo Campania assistette con diletto a una rappresentazione delle poesie di Shelley da parte del “possente attore tragico inglese” Henry Brodribb Irving.
Due giorni dopo lo sbarco a Liverpool, il 26 luglio, scriverà alla famiglia per rassicurarla del suo stato. Ma dopo il congresso arrivò il peggio: fu nuovamente e questa volta pesantemente colto da quel male che gli segnerà il resto della vita. Il pesante stress accumulato, e peggiorato nella tournèe degli Stati Uniti, fiaccò il suo fisico e la sua mente: entrambi reclamavano riposo. Venne ricoverato al National hospital, costantemente assistito dall'amica Louise Michel.
Fu in questo periodo di sofferenza che Pietro maturò il proposito di rientrare nell'amata-odiata Italia. Si poneva però il problema della sua condizione di latitante, in quanto aveva violato la condanna al domicilio coatto del 1894. Un rientro avrebbe significato quindi l'arresto. I genitori, con l'aiuto dell'avvocato Podreider, pregarono Pietro di mandar loro il certificato medico con cui sollecitare il governo italiano per il rimpatrio senza conseguenze giudiziarie. Il nostro rispose che tale richiesta non doveva essere fatta a suo nome. Finalmente, grazie all'interessamento dei parlamentari Bovio e Imbriani, l'anarchico poté ritornare in Italia. E a far capire che tornava non con la coda tra le gambe, ma anzi battagliero come era partito, fece precedere il rientro da una lettera alla Tribuna, in cui attaccava la politica del governo e le sue leggi repressive. Un'altra lettera, di ben altro tenore, fu quella indirizzata ai compagni americani, del 10 novembre, in cui prometteva loro di tornare, manifestando ancora una volta il piacere che la parentesi negli Usa gli aveva arrecato.
Se gli Stati Uniti lo ricorderanno per diversi anni avvenire, quale fu il ricordo che gli elbani avranno di lui dopo la morte? Molto vivo, nonostante l'imminente ventennio fascista cercasse di eclissarlo. Invano, in quanto nell'immediato dopoguerra fu il personaggio a vedersi più di ogni altro, a parte Giacomo Matteotti, intitolate vie e piazze nei centri isolani. Ma furono soprattutto le lapidi commemorative a fiorire all'indomani della morte.
Il primo omaggio che Pietro ebbe dalla sua isola fu a Rio Marina. Nel maggio 1911, a soli quattro mesi dalla sua dipartita, nella piazza principale del porto minerario fu murata una lastra di marmo, vicina a quella celebrativa di Ferrer, con inciso Piazza Pietro Gori. Si trattava di una risposta polemica nei confronti dell'amministrazione comunale che si era opposta a intitolare la piazza all'anarchico.
A Portoferraio la lapide fu inaugurata il 30 novembre 1913, in occasione di un corteo molto partecipato, avvolto dalle bandiere nere e rosse. Tennero discorsi Virgilio Mazzoni, Filippo Paletti e Riccardo Sacconi. L'opera è di Arturo Dazzi, lo stesso autore del busto marmoreo del poeta anarchico nella cappella in cui è sepolto, a Rosignano, che aveva conosciuto Gori a Carrara. La giornata è ricordata da Sandro Foresi: “Il sole lanciava dal cielo sulla città nostra il più cocente raggio mentre il mare – quel mare che tanto era stato caro a Pietro Gori – palpitava in un tenero azzurro tremolio, quasi a ricordare quelle giornate di sole e di luce a cui il poeta aveva attinto gli ultimi sprazzi di vita. In Portoferraio sembrava fosse convenuto tutto il popolo con tutti i suoi dolori, ma con tutte le sue fedi”. Nel 1940 fu rimossa dai fascisti. Si salvò dalla distruzione, secondo le testimonianze, grazie all'intervento di Umberto Pasella, un fascista con un passato da sindacalista rosso, protagonista soprattutto durante lo sciopero del 1911. Il marmo fu quindi nascosto, per essere ricollocato al suo posto, il 5 maggio 1946.
La lapide di Capoliveri invece fu posta il 30 gennaio 1921. L'opera è di Rigoletto Mattei, e all'inaugurazione parlarono Giacomo Argenti, Virgilio Mazzoni e il socialista Mario Palomba. Non mi è stato facile ricostruire le vicende di questa lapide, in quanto le testimonianze sono contraddittorie. Il marmo fu divelto a colpi di mazza non è ben chiaro quando, ma molto probabilmente nello stesso periodo di quello portoferraiese. Bolivio Palmieri mi raccontò che l'urto a terra fu tremendo, ma miracolosamente la lapide rimase intatta. Indispettito da ciò, il più esagitato dei fascisti afferrò la mazza e mutilò la mano di Pietro, che risalta in gesto plastico dalla scultura. Molto probabilmente il marmo venne trasferito al cimitero, dove rimase fino alla caduta del regime. Quindi fu riportato in piazza (con un baroccio, mi riferivano due testimoni del viaggio) per essere ricollocato sul muro. Ma un'altra testimonianza mi assicurava che la lapide fosse nascosta sotto il pavimento del fondo commerciale del padre, in piazza. Non è detto che le due versioni siano discrepanti: il trasporto poteva avvenire dopo il 25 luglio 1943, ma il successivo 8 settembre e l'occupazione tedesca poteva costringere i capoliveresi a nascondere nuovamente la lapide fino alla fine della guerra. Nel dopoguerra fu rimessa al suo posto, e la mano mutilata fu restaurata nel 2011.
Una sorte peggiore toccò alla lapide di Rio Alto. Inaugurata con grande concorso di popolo il 1° maggio 1920, fu posta sulla facciata del palazzo del Ciummei, che si affaccia sulla piazza principale, detta Fuor di porta popolarmente, piazza del Popolo secondo l'ufficialità. Anche qui fu scolpito un bassorilievo dove il poeta appariva incoronato da alloro al fianco di una figura alata. Il marmo venne asportato e distrutto da fascisti locali sotto l'occupazione tedesca del 1944. I cocci furono impiegati come pietrisco di muratura. L'unico scampato, un frammento dove ancora si legge il nome, è oggi conservato nel teatrino Garibaldi del paese.
La palma della vicenda più strana però va alla targa di Sant'Ilario, il paese che più di ogni altro legava il suo nome a Pietro. Era talmente vivo l'affetto generale che il borgo provava ancora per lui, che vi furono seri scontri tra anarchici e fascisti il giorno dell'inaugurazione. Ma non per le ragioni che si possono immaginare, viceversa perché i secondi volevano rendere onore all'omaggiato al pari dei primi, non sopportando di essere stati esclusi. E furono addirittura gli stessi fascisti locali a tentare di opporsi alla rimozione della lapide, chiesta dall'autorità. Dovettero cedere, ma non dettero seguito all'ordine di distruggerla. Anzi, la nascosero nella loro sede, dove vi rimase fino al dopoguerra, quando fu ripresa e ricollocata.
Mi piace però concludere ricordando che nelle case di molti lavoratori elbani, non solo anarchici, fosse presente, fino a non molti anni fa, un'immagine di Pietro, quasi un ritratto votivo, accanto ai cari scomparsi.
Tanti modi per far sentire a Pietro Gori che all'Elba era ancora vivo.
Andrea Galassi
p.s. Grazie a tutti per avermi seguito fino in fondo.