Il suo vero nome era Delfo, ma per tutti era Romeo. Nato nel 1925, ci ha lasciati ieri, 1° settembre 2021.
Un’esistenza lunga ma ricca di tante cose e di ricordi.
Me lo ricordo – ero piccolo – quando costruiva, da falegname, le «regole» in legno che noi chierichetti facevamo gracchiare per le vie del paese il Venerdì Santo, quando le campane della chiesa di Poggio erano simbolicamente «legate» per il lutto del Redentore.
Poi, in tempi più antichi, riparava gli zoccoli di legno ai bambini del paese. Fu lui a raccontarmi che da bimbetto, intorno al 1935, andava da solo su sentieri vertiginosi per comprare le ricotte del pastore Giuseppe Galli, detto Peppitto, al caprile delle lontane Macinelle. E fu lui che, nell’aprile del 1944, portò al Poggio il lucente albero motore di uno dei due aerei militari americani partiti dalla Corsica e schiantatisi sulle aspre creste del Malpasso; mi disse che lo aveva nascosto nel suo orto delle Cataste, ma non l’ho mai trovato.
E ancora me lo ricordo nei racconti del suo lavoro torinese alla Fiat che durò ben quattordici anni, e di quanto gli mancasse, in quei momenti, la sua isola. Per alcuni anni l’ho aiutato a montare il pesante catafalco che accoglieva, durante la Settimana Santa, la «bara di Gesù morto» nella chiesa di San Defendente; una volta, nel silenzio della luce tiepida di aprile, mi disse: «Facevamo dei bei canti, da piccini. Eravamo in tanti, nella chiesa…ma dove siete finiti, tutti?» E scoppiò a piangere.
Mi ricordo anche le prove di canti liturgici che facevamo in casa sua, e il mio silenzioso divertimento nel sentire un latino che non era più latino: «Staba mate dolorosa, iusta cruce lacrimosa», «Te Deu laudamu, te Dominù confitemu». Nel mentre Argentina, detta Tina, l’amata moglie, offriva ai due cantori il vino giallo di Lavacchio, frutto della vendemmia di Romeo.
Romeo era la persona più anziana del paese, e con lui se ne va uno sciame di ricordi che inonda di luce la vallata.
Silvestre Ferruzzi