Di tanto in tanto qualcuno dei più datati lettori, ricordando gli antichi fasti ci invita a ripristinare il virtuale "Premio Fava Lessa", che in modo del tutto arbitrario (un po' come tutti i "premi" insomma) attribuivamo a chi le cronache ci segnalavano come autore di scervellate imprese (escursionisti in ciabatte ingoiati nelle notti dai boschi, marinai della domenica in acqua dolce sbacchiati - quando andava bene - dal libeccio in qualche sperduta cala, free climbers scalzi e ignudi appollaiati dal terrore come gabbiane a mezza scogliera, geniali smarritori della propria carta di identità nella banca appena rapinata, autori di furti con scasso che sottraevano birrette e sacchetti di patatine, bande del buco che s'ammazzavano di fatica per smurare e trasportare via una cassaforte vuota etc.).
Ma il gioco - si sa - anche se carino, alla lunga "stucca", e lo abbandonammo, limitandoci a raccontare le cose bizzarre che accadevano senza ironici commenti.
Però quanto accaduto negli ultimi giorni, più che suggerirci, ci impone di proclamare ufficialmente chi è il capoclassifica, chi senza dubbio meriterebbe il titolo di AUREA FAVA LESSA DEL SECOLO.
Ci riferiamo ovviamente a quel tizio (glorificato dall'informazione nazionale e non solo) che 9 mesi fa iniziava le sue peripezie con l'inscenare la sua morte in Albania, dando fuoco ad un'auto presa a noleggio, nella carcassa della quale, bruciacchiati ma ancora identificabili (guarda caso) si potevano trovare effetti a lui riconducibili come un cellulare evidentemente ignifugo ed altri reperti come ossa appartenute a chissà chi, che secondo lui avrebbero aggiunto un tocco di realismo alla bruciante sceneggiata, alla quale non abboccava neppure la polizia albanese, che ci pare non sia esattamente Scotland Yard.
Dopo un congruo periodo di tempo il soggetto lo ritroviamo a Medjugorje con i capelli tinti (male), e una nuova identità. Voi penserete che in un raro momento di lucidità abbia deciso di venire a pregare la Vergine di restituirgli miracolosamente il senno, e invece no, il nostro Indiana Jones in salsa umbra, tra i sassi della Croazia trova l'ispirazione o quanto meno affina il progetto della vita: IMPADRONIRSI DEL TESORO DI MONTECRISTO!
Orbene, perfino i bambini sanno che quella del tesoro su quell'isola è una leggenda, una favola, una fola (una favata detto più crudamente), e che cercarlo ha le stesse probabilità di successo di rinvenire la nota pentola piena di monete d'oro che si trova esattamente nel punto dove inizia l'arcobaleno, ma la fede non faceva difetto al nostro travisato eroe che rientrava in Italia in pullman come pellegrino di ritorno dal Santuario.
Immaginiamo l'emozione con cui si avvicinava al compimento dell'impresa raggiungendo la base operativa fissata al Giglio, dove si spacciava per geologo, si faceva chiamare con un cognome che non era il suo, e dove affittava un gommone sul quale caricava tutto il necessario per trovare il tesoro: un piccone, una pala e una cartina di Montecristo con i possibili obiettivi di scavo (!) e via tra le onde verso la ricchezza e forse la gloria.
Ma il destino cinico e baro si accanisce talvolta anche contro gli eroi, e per un'improvvisa defaillance del motore il nostro si trovava alla deriva e nelle peste. A recuperarlo, guarda caso, proprio i Carabinieri Forestali di stanza nella agognata meta insulare, e gli è andata anche di lusso che lo hanno pescato in mare, perché se l'avessero beccato a spicconare di frodo in area protetta, se lo sarebbero mangiato (figuratamente eh!) vivo.
Non conosciamo che trattamento gli riserveranno la magistratura italiana e quella albanese, ma invochiamo clemenza, non fosse altro per la ilarità e il buon umore che ha indotto in centinaia di migliaia di persone con le sue strampalate vicissitudini.
Due considerazioni finali: la prima in forma di domanda al protagonista della vicenda: "Ma secondo te, se il tesoro ci fosse davvero stato, per secoli noi gente di scoglio, gigliesi e elbanesi, avremmo atteso che venisse a catubarcelo (sottrarcelo per i foresti) uno da Perugia?"
Ultima: se un Alexandre Dumas (in foto) redivivo, da valente giornalista quale ancora sarebbe, dovesse raccontare la storia, titolerebbe autoparafrasandosi:
da "Il Conte di Montecristo" a "IL TONTO DI MONTECRISTO".