Quando di recente ho visto l’intervista di Pellizzari sulla stampa locale, la memoria mi ha riportato indietro di una trentina anni e non ho potuto fare a meno di sorridere.
Perché il ricordo di una risata, mal che vada, è sempre un sorriso.
Sala De Laugier, inizio anni ‘90, stavo partecipando alla premiazione dell’Atleta dell’anno (manifestazione che premiava gli sportivi elbani che si erano contraddistinti) come timoniere della Padulella (canottaggio).
Seduti nella fila davanti a me, in rappresentanza dell’Elba Rugby, c’erano Andrea Scagliotti (Juba) e Francesco Pilato.
Pensa un po’ che paradosso: Juba, rugbista purosangue, era cresciuto a fianco di un campo da calcio.
A fianco, sì, letteralmente: casa sua si affacciava sulla linea laterale del campo della Bricchetteria.
Sul terrazzo di quella casa i palloni ci finivano a dozzine, con immensa gioia di sua mamma.
Prima di cominciare la premiazione vera e propria, alla De Laugier venne proiettato un filmato, fuori concorso per due motivi:
1) il protagonista era elbano d’adozione ed anche l’ambientazione era in acque elbane.
2) la portata di quelle imprese era davvero fuori concorso.
In quegli anni la rivalità Pellizzari-Pipin era fortissima, nutrivano stimoli l’uno dall’altro e le gesta di entrambi erano risaltate per ovvi motivi: stavano riscrivendo la storia di uno sport, l’apnea subacquea.
Dunque, quella sera alla De Laugier, il brusio in sala si placò allo spegnimento delle luci.
Silenzio assoluto, buio pesto, schermo nero, parte il filmato su Pellizzari.
Titolo: “Storia di Pelo”.
“Pelo” sarà anche il soprannome del campione di Busto Arsizio, ma dé…
Vi lascio immaginare i mormorii, e soprattutto le battute taglienti di Andrea e Francesco.
Loro due, insieme, se c’era da far ridere erano una bomba.
Una comicità di un livello inarrivabile, nessuno era il primo attore, nessuno la spalla.
Si integravano ed alimentavano a vicenda, alla perfezione.
Non credo di aver mai riso così tanto in vita mia, mi faceva male (malissimo) la pancia ed imploravo loro - invano - di smettere.
Perché ridere quando c’è da ridere (ad esempio quando si va a vedere lo spettacolo di un comico) è un conto, son buoni tutti, te l’aspetti anche, ma ridere quando non potresti - e non dovresti - è tutta un’altra cosa. Provi sì a trattenerti, ma non ce la fai.
Ecco, quel tipo di risate sono anch’esse fuori concorso, perché non te le puoi scordare, mai.
Ed allora, Andrea e Francesco: grazie.
Ovunque voi siate, a scoppio ritardato: grazie, grazie davvero.
E’ risaputo, Andrea e Francesco se ne sono andati tragicamente, presto, troppo presto (coincidenza), a pochissimi anni di distanza.
La loro amicizia è una di quelle cose che le parole non possono spiegare. Le parole.
Ad ogni famiglia, quando un proprio caro se ne va, spetta un compito: scegliere la foto da mettere sulla lapide.
E la famiglia, consapevolmente o no, dal mazzo pesca spesso quella che, in qualche modo, rappresenta il defunto per quello che era da vivo. Il campionario è vasto: doveri, amori, passioni, hobby, vizi e/o, più semplicemente, il sobrio modo di essere e di apparire.
Per cui, al campo santo, nelle foto sulle lapidi ci si può trovare ogni tipo di posa: chi sorride, chi un po’ più serio, chi col mare sullo sfondo, chi col cane, chi con la bici, chi mentre lavora, suona o nuota, chi a cena (bottiglia di vino sul tavolo e sigaretta in bocca), chi con gli occhiali, chi in giacca e cravatta, chi in camicia sbottonata, chi ben pettinato, chi in divisa, chi in canottiera, chi col microfono e l’elenco potrebbe andare avanti chissà per quanto.
Loro due sono seppelliti al “Cimitero dei Neri”, in due cappelle separate ma adiacenti (altra coincidenza), subito a sinistra dopo l’ingresso.
Entri da uno e ci trovi una foto: ritrae loro due insieme, in barca, felici, sorridenti, con Francesco che solleva un polpo appena pescato.
Poi vai dall’altro e ci trovi la stessa, identica foto.
Non è una coincidenza: alle rispettive famiglie è venuto spontaneo ricordarli così, insieme, felici, sorridenti, guai a separarli, ci mancherebbe.
Probabilmente non c’è altro posto al mondo dove, su due tombe diverse (non di parenti, non di congiunti), compare la stessa foto.
Non può essere pubblicata quella foto, non avrebbe senso, va vista lì e solo lì.
Perché è lì che ti senti scuotere dentro: è spiegata la loro amicizia come meglio non si potrebbe.
Un’amicizia immortale.
Michele Melis