Ti ricordi Cesare di quando ci hanno espulsi da quell’isola dell’Atlantico orientale, quella di San Tommaso e Principe? Sembravamo due naufraghi in balia delle onde, sballottati da un ufficio all’altro, senza passaporto e senza bagagli. Maria da Conceicao, la commissaria, ci mise tra le mani un foglio di via mentre il volo TAP rollava sulla pista già da due ore. Scommetto sia stato il tuo reportage più breve. Lo tengo ancora appeso quel foglio.
E Vitaly te lo ricordi Cesare? Lo hai raccattato in un parco di Odessa. Si torturava con le sigarette. Fumava di continuo e alcune cicche morivano sul suo avambraccio. Gli hai offerto una birra, poi un’altra e un’altra ancora e vi ho sentito parlare un pomeriggio intero. Perché l’essere umano è una creatura meravigliosa quando la sai leggere e tu sapevi farlo meglio di tutti.
Cesare te lo ricordi Octavio? Il brasiliano pelle, ossa e barba bianca che pestava la menta a Otavalo? Quello che somigliava a Giuseppe Verdi? Certo che te lo ricordi. Si vantava di fare il miglior mojito dell’Ecuador, fumava marijuana e cantava De Andrè che sosteneva di aver conosciuto a Genova ai tempi dell’esilio e dei generali. Gli hai creduto perché è bello credere alle storie, perché poi è bello raccontarle e tu si che le sapevi raccontare le storie. All’imbrunire mentre gli aironi tornavano alla garzaia, sotto i vulcani, ci accorgemmo troppo tardi di aver perso l’ultima corriera. Macchissenefrega Cesare.
Ti ricordi Cesare della donna di quel campo profughi al confine con la Colombia? Aveva perso sette figli uccisi dai paramilitari in una notte maledetta. L'hai ascoltata, hai smesso di fare domande e abbiamo pianto, perché se è vero che il dolore degli altri è un dolore a metà per te il dolore degli altri è sempre stato anche il tuo.
Ti ricordi Cesare di quella notte di Luna piena nella campagna ucraina appesi a un vagone del treno per Kiev? A quel tempo non c'era la guerra e l'Ucraina ti stava nel cuore. Durante quella notte, mentre tentavamo di guadagnarci un posto più comodo e un tale che puzzava di vodka provava a farci scendere, mi hai insegnato che condividere è quanto di più bello possa capitare agli esseri umani, e tu di condividere non smettevi mai.
E poi Cesare ti ricordi della foresta e di quel tipo che aveva perso tutto per colpa di una multinazionale? La sua terra era nera di petrolio e le sue bestie morivano come mosche. Risalimmo il Rio Aguarico un giorno intero per raccogliere le sue parole, perché se c’è una cosa che proprio non sopporti Cesare quella è l’ingiustizia e la prevaricazione sui deboli e le minoranze e tu si che sapevi dare voce agli ultimi.
Ma poi ti ricordi Cesare com’è andata a finire quella notte a Lisbona? Ti ricordi che era il 18 aprile? L’aria dell’atlantico era ancora frizzante e per l’occasione avevo un paio di Cohiba, i più grossi che avevo trovato, per festeggiare, perché con te qualcosa da festeggiare si trovava sempre. No, perché io non me la ricordo più quella notte, ma poi mi sono risvegliato a casa e ho pensato che qualcuno mi debba aver comunque accompagnato fino a lì.
E il binario 19 Cesare te lo ricordi? Lo abbiamo cercato dappertutto, eppure in quella stazione i binari erano soltanto 18. Hai continuato a cercarlo con ostinazione, perché così ti era stato detto e perché hai sempre avuto un’incrollabile fiducia nell’essere umano, anche quando mostra la sua faccia peggiore.
Ti ricordi Cesare, ti ricordi, ti ricordi…
Nicola Nurra