Io e zio ‘Telli, Roberto Coltelli, figlio di Narcisa e di Gaudenzio “Panciadicane” eravamo coetanei, classe ’57, ma non ricordo di averci fatto un giorno di scuola insieme. Allora le classi erano caotiche e la Marina così piena di bimbi che spesso la nostra vita insieme era più al campetto sassoso della Soda, a tirare calci a palloni sgonfi, o lungo le strade notturne a giocare al sasso. Però Roberto non me lo ricordo bene da bimbo, mi ricordo un sorriso, un bimbetto appartato, un po’ pensieroso, in mezzo a una caciara infinita e alle zuffe di strada.
Ma, nella nebbia dei ricordi, quel bimbo e quel sorriso pensieroso da gatto sornione potrei confonderlo anche con l’adolescente e poi con il ragazzo e il giovane uomo che si conquistò il soprannome di Zio ‘Telli proprio per il suo fare calmo, per la battuta soppesata, che arrivava alla fine di uno scazzo, di un litigio da bar tra giovani capelloni che eravamo, che ti faceva sbollire come una secchiata d’acqua fredda tirata su due cani che si annusano ringhianti. Chiamare Zio qualcuno, all’epoca, era un segnale di rispetto. Non indicava il capobranco ma qualcuno di cui ci si può fidare e che non ubbidisce al capobranco.
Quella mia e di Roberto sono state vite parallele, lui era sullo stesso binario del mi’ fratello Marietto, di Franco Galletti, di Agostino Ciopo… era un sopravvissuto di quella schiatta che ha lasciato la vita ancora prima e che ora lo starà aspettando sulle nuvole con un bicchiere in mano, insieme a Gaudenzio e Narcisa.
“A me piacciono gli anfratti bui delle osterie dormienti, dove la gente culmina nell’eccesso del canto, a me piacciono le cose bestemmiate e leggere, e i calici di vino profondi, dove la mente esulta, livello di magico pensiero”, scriveva Alda Merini. Ecco Roberto sembrava sempre guardarci da un angolo in ombra, dove dietro la calma ribolliva una nascosta sofferenza.
Vite parallele, divise da traversine diverse, fatte di scelte, fatte di diversi sogni e incubi, fatte di svolte e incroci che ci portavano sempre vicini. Addirittura vicini di casa quando, insieme a Narcisa, Roberto si trasferì nel piccolo appartamento a piano terra in via San Giovanni, a Risecco, dopo la svolta a zeta tra i muri sbrecciati e la scorciatoia erbosa e di vetriola per la Soda.
E’ lì che Roberto ha passato gli ultimi suoi anni, segnato nel fisico da una vita senza risparmio, appartato a guardare il mondo, come faceva sornione quando ci guardava incendiarci nei bar a 16 anni. Tutto passa, sembrava dire, e tutto passava al suo lento e faticoso passo. E uno guardandolo pensava alla forza di quell’uomo che lavorava e sorrideva ancora, nonostante tutto.
E Zio ‘Telli sorrideva davvero con il suo largo sorriso felino quando incontrava la mi’ mamma Jole, che forse a lui ricordava Narcisa e alla mi’ mamma ricordava il ricordo di Mario. Jole non sapeva più chi fosse davvero Roberto, ma, miracolosamente, era certa che avesse a che fare con qualcosa di buono, con un ricordo buono, con una carezza da dare che Roberto accettava con gratitudine, abbassandosi verso quella donnina, facendosi più curvo di quanto lo aveva curvato la vita, per riceverla, come una benedizione.
E’ lì in quei giorni di dimenticanza senile di Jole, che abbiamo ricominciato a tessere un filo di ricordi comune, accorgendosi che, nonostante vite sideralmente diverse, i nostri binari erano rimasti vicini, la nostra stima che non ci siamo mai detti era intatta e aveva bisogno solo di poche parole, di un saluto rapido.
A Roberto è piaciuta molto la “figurina marinese” che ho scritto sul su’ babbo Panciadicane e ci ha tenuto a dirmelo. Poi, il 3 maggio, mi sono trovato e questo suo apodittico e imbarazzante commento sul mio profilo Facebook in risposta ad altri commenti: “Siamo cresciuti insieme, se dice una cosa o scrive una cosa non sbaglia mai. Ciao Umberto”. Una sentenza finale, alla Zio ‘Telli che è diventata il suo ultimo commuovente, immeritato saluto.
Qualche giorno dopo la mi’ moglie Marianne l’ha trovato per la strada, piegato dentro la sua macchina sbattuta, attaccata a un muro, allo Schioppo, mentre tornava a casa, non è riuscito nemmeno a vedere aprirsi il porto e la Marina dopo la strettoia dell’Anime, non è riuscito a rivedere l’immagine che è più cara a ogni marinese, quella che ci apre il cuore ad ogni ritorno, da viaggi lunghissimi o brevi.
Un’ambulanza ha portato via Roberto verso il letto di ospedale al quale stavolta non è sopravvissuto. Avrei voluto parlarci almeno un’altra volta, per un saluto.
Lorenzo il Capo mi ha avvertito che Roberto se ne era andato mentre tornavo da una vacanza in Basilicata, un posto verde, di bianchi paesi contadini, di vecchie che sembrano indie, di nibbi rossi con la coda biforcuta che cacciano tra le pale eoliche che segnano le colline di un Golgota infinito, crinali di grano con le croci bianche di Cristo e della sua trinità e di innumerevoli ladroni redenti. A Zio ‘Telli, che aveva una spiritualità e una fede che ho conosciuto molto tardi, sarebbe piaciuto quel posto antico e moderno, dove il tempo sembra fermo ma gira placidamente, soffiato da un vento eterno, luoghi di pace.
Ciao compagno Roberto
Umberto