Riassunto delle puntate precedenti. Un detective sta indagando sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano. Sospettati i parenti. La metà di loro è moderatamente indiziabile, o un vero e proprio enigma. Ma l'altra metà è fortemente sospettabile. Tra cui l'ultimo membro, qui preso in esame.
Il vostro affezionatissimo detective è concorde con Bartolommeo Sestini, quando scriveva che il riese è il più elbano degli elbani. Ma questo è vero fino a un certo punto. Se parliamo dell'elbano da giovane è indubbiamente così. Ma l'uomo di cui si occupa il giallo, quello di cui stiamo indagando la presunta scomparsa e omicidio, è invecchiato in un mondo completamente diverso da quello della sua giovinezza, segnato soprattutto dal turismo. Per questo il vostro indagatore è giunto alla conclusione che oggi il più elbano degli elbani è il marinese. Nel bene e nel male. E quindi lo abbiamo lasciato per ultimo. Il suo identikit va studiato con attenzione, perché potrebbe complicare ulteriormente la trama. Ma darci anche un elemento importante per la soluzione del caso.
Va subito detto che il nostro eroe il nome se lo è scelto bene. Perché in una famiglia in cui, soprattutto i più giovani, hanno intrapreso mestieri legati al mare, il marinese con esso è quasi un tutt'uno. Marinese è quindi più che un nome: è un connubio profondo tra l'uomo e il mare. Non a caso pochi al mondo, del pari di uno dei figli incliti della sua schiatta, Raffaello Brignetti, hanno saputo scrivere meglio storie di mare.
Oggi il mare è sinonimo di turismo per il marinese, come per tutta la famiglia. Il mare però da amare a modo suo: magnificandolo, pur rigettando forme di tutela come le aree marine protette; valorizzandolo, fino al punto che assicura il guadagno economico, ma non oltre. E qui sta il primo aspetto del meglio e del peggio della famiglia elbana di oggi, che il marinese incarna alla perfezione.
Il marinese sa meglio dei cugini che sulla linea dell'orizzonte marino ballano la buona o la mala grazia. Sulla torretta di casa sua ha inalberato bandiere di tutti i colori e di tutte le nazioni, a seconda della flotta che vedeva arrivare da lontano. A tutta prima si può dire, con malignità, a causa di quell'opportunismo dettato dal vivere in pace e senza grane con tutti. Ma anche perché il marinese, da uomo di mare, parla ogni lingua del mondo, si riconosce in ogni vessillo dell'orbe. E quindi sa fare affari con ogni popolo cognito. E questo è un altro aspetto del suo essere elbano, nel bene e nel male.
Peculiarità che lo affratella alle altre genti di mare. È stato scritto che il marinese è il livornese della famiglia elbana, e financo il marsigliese della famiglia elbana. Vero e falso allo stesso tempo. Alla stessa stregua potremmo dire che il marinese è anche il ligure della famiglia elbana, a giudicare dalle forme e l'arredamento di casa sua. Ma in realtà il nostro eroe è un uomo di mare. E quindi anche livornese, marsigliese, ligure, ottomano, e tutti quelli che drizzano l'antenna sul Mediterraneo.
Il marinese in gioventù era come un moderno fenicio: non aveva bisogno che della terra necessaria per la casa, tanto gli bastava la sconfinatezza del mare. Quando è andato a vivere da solo, staccandosi dal germano marcianese, ha chiesto per sé solo un minuscolo spazio di giardino, nonostante l'enorme tenuta del fratello maggiore.
Fin da quando è nato, sostanzialmente nel Settecento, ha mostrato la sua intraprendenza. Come il piaggese ha navigato i sette mari del mondo. Ma a differenza del cugino, che presto o tardi doveva rimettere la prua verso la casa avita, il marinese poteva pensare di piantare la tenda su altri lidi, soprattutto sudamericani, pensando di viverci fino alla fine dei suoi giorni.
E come è successo per i cugini piaggese e campese, ha surclassato i fratelli maggiori, il pucinco e il marcianese, che lo guardavano con crescente invidia dall'alto. E ha marcato un'altra differenza col piaggese: la fortuna di questi è stata sì sfolgorante ma di breve durata, mentre quella del nostro è andata in crescendo. Forse nel dopoguerra si è un po' pentito di essersi accontentato di così poco giardino. Avesse aspettato una settantina d'anni a uscire di casa dal germano marcianese, lo avrebbe molto probabilmente depauperato della metà della tenuta, da Procchio a Patresi. Ma il lato positivo della cosa è che la limitatezza della sua proprietà gli ha impedito la sgangherata espansione dei cugini campese e capoliverese.
Anche nel mestiere turistico il marinese ha squadernato il meglio e il peggio della famiglia. Il meglio, acconciando la sua magione a una delle più amate dagli ospiti, molto ben tenuta. La sua accoglienza è di ottimo livello, attirando anche ospiti di riguardo. Il peggio, perché riesce a toccare il sublime della dozzinalità e del conformismo. Si atteggia a intellettuale, per svettare sugli ignoranti cugini, ma in realtà è il classico borghesuccio fintamente acculturato, che se organizza una festa, invita gli ospiti sbagliati.
Per esempio, per invitare il miglior giornalista italiano ha l'imbarazzo della scelta tra decine di nomi. E lui che fa? Invita Bruno Vespa. Per darsi lustro col miglior storico dell'universo può pescare nel fior da fiore tra migliaia di studiosi di vaglia. E lui che fa? Si dà lustro con Bruno Vespa (ancora lui? massì, tanto Vespa si porta con tutto). Chi sfoggia alla festa, presentandoli come epigoni di James Joyce e Italo Calvino (ma anche del suo Brignetti)? Federico Moccia e Fabio Volo (e questa purtroppo non è una battuta). Perché al marinese non interessa la qualità culturale, ma solo che si parli delle sue amicizie fighette. Che è un altro modo, purtroppo, di passare dalla nobile cultura popolare alla moda da bifolchi danarosi. Come dicevamo all'inizio? Ah sì: il meglio e il peggio della famiglia elbana.
Conclusioni. Ai fini della nostra indagine sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano, il marinese è un altro dei massimi sospettati. Ha bruciato ogni tappa pur di ritagliarsi un ruolo di primo piano in famiglia. Potrebbe aver quindi maturato il delitto (ha anche allestito un set televisivo adatto alla bisogna) per sbarazzarsi di ogni cosa che non è funzionale al suo avvenire. Da tenere dunque sotto controllo.
Con questo identikit la lista dei sospetti è interamente squadernata. Adesso dobbiamo spostare l'indagine sulla vittima, l'elbano. È ancora vivo? È scomparso o lotta insieme a noi, magari più in sordina rispetto al passato? È stato ucciso, come si sospetta?
Andrea Galassi