C'è un modo di dire usato e abusato per decenni che suona: "Fin da quando avevo i calzoni corti...", che penso sarà abbandonato quando anche gli ultimi tra i miei coetanei molleranno gli ormeggi dal pianeta.
Sparirà insieme a noi, ultimi indossatori di pantaloni corti invernali, quasi sempre grigi, che ci venivano inflitti anche ben oltre l'età puberale, quando le gambe di quelli tra di noi che erano più avanti con lo "sviluppo" si riempivano di folti batufoli di peluria scura quasi scimmiesca, talvolta in ridicola associazione con camicia, giacchettina e cravattino scozzese "a sciacquone" (col nodo fatto, cucito e attaccato al collo con un elastico).
Certo, per quanto fossero una specie di strumento di tortura, nei giorni di tramontana diaccia, che ti accoltellava i polpacci, i calzoni corti avevano una loro intrinseca utilità.
Infatti, quando si giocava a pallone, nei cento angoli ferajesi, o soprattutto a "passaggi" sulla breccia bianca che copriva Piazza della Repubblica (appena sottratta alla titolazione a qualche vergognoso Savoia), accadeva che cascavi e ti sbraciolavi un po' le ginocchia, con sgraffi e tagli che oggi condurrebbero fanciulli moribondi e mamme in deliquio al Pronto Soccorso, e che allora si curavano con presidi terapeutici di crescente efficacia come lo sputo, la sciacquata sotto l'acqua della pompina (pubblica fontanella per i foresti), e nei casi più gravi il tampone di ovatta bruciante di alcol (parsimonioso perché costava) somministrato dalla genitrice insieme a un paio di pattoni conditi dall'immancabile "così impari!"
Ma il ginocchio nudo guariva da solo e gratis, ci fosse stata stoffa sopra si sarebbe strappata (e i pattoni si sarebbero moltiplicati).
Oddio che pippettone di prologo!
Fin da quando avevo i calzoni corti - dicevo - mi sono occupato di politica, in maniera diversa: da attivista (allora si diceva "militante", altra parola desueta) di partito (sempre lo stesso finché è stato in vita) ricoprendo pure qualche modesto locale incarico politico e amministrativo, crescendo, maturando ed iniziando ad invecchiare nei locali della stessa "sezione" (ora si chiama "circolo" come una bocciofila o quello del bridge) e poi, dopo varie vicissitudini, speranze, delusioni, sempre in groppa ad una profondissima incazzatura (mai sopita) per le assurde divisioni della sinistra italiana, mi sono ritrovato nella attuale posizione: quella di "comunista libertario autonomo" o meglio "cane sciolto progressista".
Ma c'è pure un'altra cosa che ho fatto "fin da quando avevo i calzoni corti": scrivere, raccontare i fatti soprattutto della mia comunità.
Faccio politica? Certo, chi ogni giorno fa informazione, la politica la deve osservare, ed indubbiamente la fa pure, volente o nolente, se esprime giudizi, se fa critiche; ma piano piano ho finito per maturare una convinzione: che è meglio non mescolare troppo spesso i ruoli, e non fare il "giornalista militante" o il "politico prestato al giornalismo". Perché il rischio è perdere credibilità su uno o l'altro fronte.
Tutto ciò noiosamente premesso, veniamo faticosamente al vero punto: il voto prossimo venturo.
In passato mi sono sempre speso perché le persone andassero a votare, e continuerò a farlo, perché considero la libera partecipazione della cittadinanza alle elezioni un indice di civiltà, responsabilità e cultura di un popolo.
Ma non mi posso nascondere dietro un dito: oggi, dire come sempre: "vota per chi ti pare ma vota, non delegare ad altri una scelta che è tua", e perfino "in democrazia è meglio votare il meno distante, il meno peggio, che non votare", è diventato progressivamente più faticoso, in un quadro politico che definire "non entusiasmante" è un eufemismo.
Intendiamoci: non ho nessuna intenzione di fare la cariatide che vagheggia il bel tempo che fu, perché neppur quello era proprio bello, se Rino Formica affermava "la politica è sangue e merda", se Indro Montanelli votava DC "turandosi il naso".
Diverso era il nostro spirito di giovani di allora, la nostra voglia di cambiare in meglio il mondo, i nostri sogni, la musica ribelle:
"Che ti vibra nelle ossa/ Che ti entra nella pelle/ Che ti dice di uscire/ Che ti urla di cambiare/ Di mollare le menate/ E di metterti a lottare..."
Diverso era "l'apprendistato" nelle forze politiche, dove non ci si improvvisava, che era una sorta di tirocinio che ti costringeva a leggere, a studiare prima di aprire bocca, perché non bastava avere un'idea, poiché a dirla con un'altra "profonda" canzonetta:
"Un'idea, un concetto, un'idea/ se non è che un'idea/ è soltanto un'astrazione/ se potessi mangiarmi un'ìdea/ avrai fatto la mia rivoluzione".
Ma pensate che i miei ultimi anni siano invasi dal pessimismo?
Non è così, perché in questo mare di merda vedo profilarsi all'orizzonte un altro "tempo della rivoluzione", il tema si sposterà (solo apparentemente, ma il discorso si farebbe troppo lungo) dalla giustizia sociale alla giustizia ambientale, e saranno "quelli con i calzoni corti", i giovani di tutto il mondo, a sollevarsi, a seppellire con una risata una vecchia, ridicola, incartapecorita, egoista, inquinante classe dirigente.
Intanto, tra una manciata di giorni in questo strano paese, si andrà al voto, andiamoci anche se ci girano le palle, se non siamo completamente convinti da nessuno, se ci hanno promesso una valanga di fregnacce, anche se ci hanno proposto candidatellucoli, e cerchiamo almeno di fare, dal punto di vista di ognuno, il minor danno possibile.