Ci vorrebbe la penna di Umberto - impagabile quando traccia i suoi "bozzetti marinesi" grondanti umanità - per raccontare quell'omone dalla smisurata energia, che dalla mattina alla sera spaccava sassi, bucava la crosta dell'isola per cercare preziosa acqua sotto terra, scavando pozzi: prima col piccone, la palamina e la mazza, poi, fino a quasi ottantenne con il martello pneumatico che tra le sue mani, grandi come pale, sembrava un giocattolo.
Il suo pranzo, che portava da casa, era quasi sempre costituito da una pagnottella, pomodori - durante la stagione - o altra verdura, come le bietole lesse con due uova oppure una microscopica braciolina: come riuscisse a sostentare quella muscolatura e gli sforzi ai quali la sottoponeva con tanto poco era un mistero.
Neppure si aiutava con quella che allora era la "benzina dei poveri", beveva solo acqua (e caffè preparato alla turca, bollito in pentola) detestava il vino e gli altri alcolici, e pure chi ne faceva un consumo smodato; più di una volta gli ho sentito ripetere "Omo di vino 'un vale un quadrino".
Ci vorrebbe la penna di Umberto, sì perché la mia non può essere che una narrazione di parte, era mio padre anzi "il mi' babbo".
Non ho scritto molto di lui, ma le cronache etilico-giovanili degli ultimi giorni mi obbligano quasi a raccontarvi un episodio che aveva avuto per protagonista Fortunato Tardò (soprannome che lo rendeva più distinguibile dall'anonimo cognome Rossi) e chi vi scrive.
Avevamo organizzato al Bagno delle Donne (deliziosa spiaggetta contigua alle Ghiaie ora distrutta da un'orrenda gradonata cementizia) una "panzanellata pomeridiana adolescenziale", era l'estate del 66 ed eravamo tra ragazzi e ragazze una bella nutrita squadra (poco meno di una ventina se non ricordo male) io che non ero astemio, ma che raramente e poco bevevo, nell'occasione forse per fare il furbo, forse non rendendomi pienamente conto (come dice l'adagio quello che ti schianta non è il bere ma il ri-bere) presi una sbornia colossale, tale da addormentarmi subito dopo essermi spostato, sbandando, sulla spiaggia davanti alla Bussola, in stato di totale incoscienza.
Tralascio - per i più delicati - i dettagli di quel che mi ritrovai intorno al risveglio, propiziato da un caffè doppio amaro, fattomi recapitare pietosamente in spiaggia dalla Signora Della Santina.
C'erano le stelle! e per completare l'opera, decisi di "pulirmi" tuffandomi in mare vestito, evidentemente riuscii anche ad uscire dall'acqua, e non ricordo dove mi diressi aspettando ancora, prima di ritornare a casa, di aver recuperato un po' di lucidità e di equilibrio nell'incedere e che calzoncini e maglietta avessero smesso di sgocciolare.
Ma ricordo che ad aspettarmi "al balzello", quando decisi di farlo, c'era lui, Tardò, in mutande a cui dissi un "Ciao Ba'" che trovò una risposta solo dopo che mi aveva accompagnato al mio letto. Quell'uomo che in 18 anni non mi aveva messo mai un dito addosso, non uno scapaccione, non uno scappellotto, rispose al saluto con un cazzotto "da omo" su una mascella che mi ritrovai gonfia e dolorante il seguente mattino.
Due considerazioni finali:
- se sulla mia tavola non manca mai un bicchiere (uno) di vino, ma pochissime persone possono raccontare di avermi visto anche solo "allegro", credo sia merito pure di quel cazzotto
- lo so, qualcuno mi dirà che comunque si sbaglia ad usare mezzi correttivi "fisici", ma credo che in situazioni al limite, una mediazione tra il rimbrotto (vedi caro così non si fa) e il brutale cazzotto di Tardò sarebbe opportuna, magari approdando a un rustico calcio nel culo, ma dato bene.