Confuso come tutti gli adolescenti, sui 15/16 anni, quando a scuola facevo schifo, ma divoravo disordinatamente cataste di libri di ogni genere, mi imbattei in "Perché non sono cristiano" di Beltrand Russel.
Quelle pagine mi affascinarono e mi "sistemarono'".
Stufo di interrogarmi sull'esistenza, indimostrabile razionalmente, di Dio, ma pure dell'ateismo basato su una sorta di "fede rovesciata", mi accomodai nel confortevole agnosticismo, in cui permango sessanta anni dopo, rispondendo alla cruciale domanda sull'eventuale Creatore: "Rispetto tutti i punti di vista, ma poiché il quesito non è a mio parere umanamente risolvibile, non me ne frega niente".
"Figurati che ce ne frega a noi - potrebbe obbiettare qualcuno - dei turbamenti del giovane Sergio", un po' di pazienza, via!.
Ovvio che con questi presupposti non potevo iscrivermi alla GIAC (giovani italiani di azione cattolica) che aveva la sua sede al Circolo Silvio Pellico, che si affacciava su una delle scalinate ferajesi, e che era però frequentato da molti dei miei amici.
Trovai però un escamotage iscrivendomi - come scarso mezzofondista - al CSI (centro sportivo italiano), gemellato con la GIAC, e che sempre al "Pellico" aveva sede.
In quei locali i più si recavano per giocare a biliardo e a biliardino, ma c'era pure una pattuglia di (chiamiamoli ironicamente così) intellettuali in embrione, che si accaloravano in discussioni filosofico-sociali, (tra loro Marcello Mellini, Francesco Sotgiu, Peppe Massimo Battaglini e - un po' più grande di noi - Bruno Filippini che era, mi pare, presidente del circolo dei giovani).
Fu il quella cerchia che maturò un'idea "rivoluzionaria": facciamo un giornalino!
Detto fatto, rimediato un vetusto ciclostile a spirito, ci mettemmo a lavorare.
Titolammo quel "coso" spillato con la cucitrice, che intendeva molto (ma molto) ingenuamente, trattare delle tematiche giovanili isolane, "La Voce Nostra" e riuscimmo a distribuire l'intera tiratura di 100 copie al prezzo sfacciato di 100 lire cadauna...
Mi proposi, e mi fu concesso, di scrivere un articolo che voleva essere spiritoso, un racconto satirico, ricordo nebulosamente, su personaggi locali "mascherati" ma riconoscibili, che penso a rileggerlo oggi non farebbe ridere neppure un contadino americano e trumpiano del Middle-West, ma io ero molto fiero di quel battesimo da "giornalista".
Il successo iniziale ci condusse a far uscire il secondo numero e qualche altro ma si preparava la "normalizzazione".
Evidentemente La Voce Nostra era pericolosamente sbilanciata a sinistra, ed intollerabile era la presenza nel gruppo di uno come me, che andava a scuriosare pure nelle bolsceviche stanze del PCI, con l'aggravante di provenire da tutta una schiatta di Rossi, non solo per cognome.
Devo però riconoscere alla memoria del Capo dell'Azione Cattolica dei grandi (il Dottor Mellini, farmacista, detto Bubi) che sentenziò la mia cacciata dai locali del circolo, di non essere stato affatto nepotista!
Infatti "Bubi" ordinò anche la contemporanea espulsione di suo figlio Marcello (che evidentemente si comportava politicamente come serpe in seno), e pure di un altro giovane Marcello, il Venturucci, che con il giornale non c'entrava molto, ma che evidentemente puzzava troppo di comunismo.
A notificarmi il bando fu, con democristiana pietà, Don Nicola, ma la normale incazzatura di un ragazzino che si sentiva discriminato, fu lenita dal come si presentava l'imbarazzato messo: un pentolone d'omo di due metri che parlava con una voce che pareva l'incrocio tra una trombetta carnascialesca e l'acuto di un soprano, che mi fece un discorso senza capo né coda, dal quale si evinceva solo una cosa: che dovevo togliermi dai coglioni.
Così uscii dal portone del circolo, umiliato sì, ma almeno sghignazzando sul pretone.
Il giornalino uscì ancora una volta prima di defungere, su quel numero c'era un conato di vignetta nella quale erano rappresentati due torsoli che avremmo dovuto essere io e Marcello Mellini, che ce ne andavamo mi pare abbracciati e giustamente con un fiasco di vino in mano, perché lo sapevano tutti che i comunisti erano dei briaconi... fin da piccoli.