Avevo un compitino facile facile da svolgere: raccontare "di mestiere" l'incontro con le classi 5^A e 5^B delle "elementari" (con buona pace della corretta terminologia) di Casa del Duca con la redazione di Elbareport, citare qualche bambino (col permesso dei genitori, ovvio) dal nome più classico o esotico; meglio ancora: citarli tutti coi nominativi del "team educativo" (si vabbé, delle loro maestre), distinguere i diversi lavori prodotti: la scaletta di una straordinariamente puntuale intervista "ai giornalisti" da parte di una classe di decenni, la stesura di un proto-giornalino vivace e pieno di tutto fuorché banalità da parte dell'altra. Poi quattro frasi di circostanza ed "era cotto il riso": parenti-contenti, click e visualizzazioni assicurati dal mezzo elenco telefonico ("sul giornale c'è anche il mi' bimbo") e pezzo archiviato.
E invece no, perché qualche ora dopo, mi sono reso conto che di quell'esperienza - una delle mille di un corso professionale che sta volgendo al termine - mi sarebbe rimasto un forte fondo emotivo, e di quell'aspetto era giusto parlare.
Vedete cari lettori, chi stende queste righe ha avuto anche la ventura di intervistare e raccontare dei personaggi importanti (o supposti tali) e, per un giochino comune nel mondo dell'informazione, essere spesso considerato fonte informativa da altri importanti colleghi, ma se oggi mi chiedete quale sia stata l'esperienza più toccante di questo ultimo mezzo secolo, che ho trascorso a raccontare brutture e cose belle (in sintesi la vita) di quest'isola, non ho dubbi e rispondo: trovarmi sommerso a fine lezione dall'abbraccio collettivo di una classe.
Guardate, non parlo di un "abbraccio ideale", no no, sono stati pochi indimenticabili secondi di abbraccio fisico, da parte di una banda di marmocchi che avevano trascorso un paio d'orette a imparare qualcosa di nuovo sull'informazione divertendosi, rendendosi conto che i "giornalisti", non erano solo i mezzibusti televisivi, quelli misteriosi e lontani, che confezionano i giornali di carta, ma pure Zia Laura e Nonno Sergio, che stavano tra i loro banchi, con la virtualità mandata a farsi benedire.
Le classi col loro mix di secchioni e sbuccioni, bimbe e bimbi, casinisti e timidi, hanno dimostrato di essere degli "unicum" bilanciati, capaci di produrre curiosità acute, comprendere concetti non semplici, come "curva dell'attenzione", o l'etica di un giornalista che deve, specie di questi tempi, essere un mordace (se occorre) cane da guardia della democrazia.
Marmocchi normali/speciali che è tangibile siano il frutto di un percorso educativo condotto in maniera magistrale, appunto, insegnando sì italiano e matematica, ma anche l'embrione di un pensiero individuale e critico, i valori a partire dall'ambiente e la Pace, la socialità fatta di rispetto ed affetto, il non aver paura delle emozioni.
Promettono proprio bene questi cuccioli di donna e di uomo, prodotti da una buona scuola. Questo mondo ne ha bisogno.
sergio rossi