Penso di aver scritto, dopo aver raggiunto l'età della ragione, un po' di tutto (forse di troppo), avventurandomi pure in "imprese" che avrei fatto meglio ad risparmiarmi.
Usavo ripetere che un argomento e un genere, avrei, per opposte ragioni, sembre evitato: gli oroscopi, perché li consideravo il massimo della umana scemenza, e la poesia (che amavo molto in veste di lettore), perché come scriveva (forse perfino troppo "tranchant") Benedetto Croce, "fino a 18 anni tutti scrivono poesie... dopo solo due categorie: i poeti e ... (diciamo, per essere buoni, "gli sciocchini").
Ho sempre pensato insomma che scrivere liriche, che non risultassero banali o addirittura ridicole, fosse molto più difficile ed alto che esprimersi onestamente in prosa.
Intendiamoci, non sto ad affermare che anche da autori sconosciuti e/o locali non si possano leggere cose gradevoli, il problema era tutto mio: non mi sentivo proprio di "avere il fisico" del poeta.
Infatti, al massimo, nella mia inutilmente vasta produzione, posso rinvenire solo qualche "ottava rima", o un tautogramma, tirati giù per puro gioco.
Però anni fa, quando avevo più tempo, inclinazione e voglia di fare scherzi, mi arrivò una lettera da un paese mi pare del sud, che dopo vari salamelecchi epistolari, mi invitava a partecipare ad un "concorso di poesia".
Il regolamento del supposto "certamen" strizza strizza si poteva ridurre così: "Tu mandi a noi tue "poesie" - noi dare a te pergamena e medaglia - poi, anche se tu non vincere, noi pubblicare parte di tua opera in raccolta di diversi "poeti"- però solo se tu acquistare 250 copie di suddetto libro (duecentocinquanta) che poi vendere se volere per cazzi tuoi".
L'occasione era ghiotta, e lavorai di buona lena per un paio di ore, alla fine (come da regolamento) avevo prodotto cinque liriche, raccolte sotto il titoletto "Canti della Valle del Caubbio", che erano un ragguardevolem concentrato di illogiche favate: un vero scemenzaio.
A parte aver saccheggiato spudoratamente Quasimodo, Virgilio, Ungaretti, Lorca (una delle "liriche" cominciava "Alle Cinque della sera..."), Baudelaire, spargendone notissimi versi "a pene di segugio" nei diversi pezzi, completai quelle "mie" composizioni farcendo il tutto (licenze poetiche?) di voluti strafalcioni grammaticali e perfino orrori ortografici.
Bene: spedii il tutto convinto che si sarebbero accorti della palese presa di culo, e mi avrebbero mandato una lettera di contumelie.
E invece di li a poco mi rispondevano che avevo quasi vinto (!) e che mi invitavano alla premiazione, ma soprattutto non mollavano l'osso, dicendomi che aspettavano il mio contributo per la edizione del libro, che purtroppo uscì orbo delle mie preziose fatiche.
Mutano i tempi, cambia il comunicare, il promuovere; panta rei, tutto scorre e passa, ma gli acchiappacitrulli imperterriti e granitici restano, siccome avvoltoi appollaiati in attesa di qualche deceduto per scoppio dell'ego ipertrofico.
sergio