Caro giovane amico,
vorrei poter pensare che tu leggerai queste righe; non ho nessuna intenzione morale o di ricerca di un colpevole ma forse solo quella di incontrarti nel pensiero di questo scritto e che tu possa fidarti del mio disinteresse e della mia buona fede.
Intendi bene le seguenti mie parole: quando ho letto del tuo gesto la mente e la memoria sono subito corse a Dante Alighieri. Non come se quello che hai fatto fosse stato tanto bello da paragonarti al sommo poeta – anzi tutt'altro - ma mi è venuto quasi naturale cercare, attraverso il riflesso dell'essenza e del significato eterno delle sue rime, quell'idea che mi aiutasse a comprendere cosa volevi raccontare alla tua bella. E perché lo hai fatto così.
Sai che il divin poeta usò un linguaggio tanto bello e nobile da lasciarne scolpiti per sempre il cuore e lo spirito dell'uomo. Nonostante le sue sofferenze e il suo quasi perenne esilio, leggi incomprensione sociale, egli proprio attraverso quei costanti passaggi dolorosi della sua vita riuscì a scrivere parole tanto libere di spiritualità e amore. E' vero che in un certo qual modo la società d'allora, la medioevale, permetteva la possibilità che le persone pensassero all'amore e davvero vivessero nell'amore ma era anche quella società in forte decadimento e la sua esclusione e condanna ne furono il sigillo.
Egli che avrebbe credo “imbrattato” di bellezza Firenze per la sua Beatrice, non si lasciò andare alla sopraffazione di un tale sentimento. Si abbandonò al suono con cui esso lo chiamava e tutti i rancori che egli aveva furono trasformati in parola e composizione che oggi conosciamo come la Divina Commedia, il capolavoro spirituale più alto che l'umanità possegga. Ha lasciato sì che, come attraverso un crogiolo di fuoco, l'odio per un amore incompreso e inappagato, che nella sua bella Beatrice trovò la sua figura, fosse trasformato in espressione autentica di vita nell'amore puro.
Hai mai letto qualche rima? Ti senti rapito e disorientato, aspirato nel limbo dei suoi gironi, aspirato in basso e proiettato in alto. Perché Dante, questo non so se lo cercasse o meno, arrivò ai vertici della poesia spirituale in quanto toccò quella “vita nell'unità dello spirito” dove per eccellenza regna la libertà, l'amore e la verità le quali ci rendono capaci di amare con tutto noi stessi. Lo respiri quanto profumo c'è in questo processo trasformazione e crescita? Oppure ti senti forte solo quando ti abbrutisci nell'offrire di te l'unica immagina che conosci: quella brutta appunto dove non esiste consapevolezza? Perché continui a ripudiarti?
Dante fu solo un uomo che si fece istruire dall'amore e il modo che egli utilizzò per irraggiare il mondo fu farsi inondare dal calore dell'amore divino. Non sporcò il mondo, capì che il mondo era certamente sporco ma offrì tutto se stesso per dire che cosi non poteva più continuare ad essere. E visse la sua metamorfosi.
Chissà cosa avrai sentito che scorreva forte dentro te tanto da non vedere che anche il mezzo che hai usato per comunicarlo sarebbe stato altrettanto importante quanto il fine.
Credo che la tua bella non potrebbe a cuor leggero capire la profondità dell'amore che hai per lei se non ti aiuta a capire che sei stato un barbaro a “comunicarglielo” così. Ne devi prendere atto.
Vorrei davvero essere persuasivo nei tuo confronti per aiutarti a comprendere la portata del tuo gesto; e se potessi farmi forte dell'esempio di una società che valesse, almeno in qualche remoto anfratto, l'aggettivo di “umana e fraterna” mi sentirei meno solo. Ma questa società, il senso del noi, esiste solo nel cuore di poche persone. Questa società “moderna e avanzata” deve solo ricercare il nemico di cui cibarsi, deve inventarsi o trovare quel colpevole per sfogare la propria frustrante solitudine, deve gettare sui giovani una coltre spessa di sangue e guerra e fango perché essi non diventino in futuro uomini onesti che diranno “si” quando è “si” e “no” quando deve esser “no”. Siamo un po' ancora al vecchio far-west, ricordi? Dove si attaccava una taglia sulla testa di qualcuno. Talvolta penso che non siamo andati mai oltre. Ma non mi faccio scoraggiare.
Io che ti scrivo vorrei condividere con te questo sogno per una società fatta di persone, che sbagliano e non si condannano, che cadono ma che trovano nel braccio di chi gli sta accanto dignità e misericordia, che si prendono le proprie responsabilità perché educate a farlo anche dall'esempio altrui, che non credono alla menzogna dell'esistenza delle razze, che pregano e che non urlano o si violentano ma che dalla rabbia, dallo sconforto ripartono coraggiosamente verso nuovi orizzonti di gioia e vita vera.
Mi chiedo se sei stato spinto a quel gesto dall'esempio funesto dei programmi televisivi; da quello “Stranamore” che appunto doveva urlare – vedi imbrattare - dalla strada il nome di lui o di lei, doveva impegnarsi a trovare il modo più eclatante per comunicarglielo tanto che tutti dovevano restare a bocca aperta.
Massa di stolti.
Penso anche al programma dannoso come la droga della De Filippi; una massa di urlanti che fanno sfoggio dell'ignoranza per conquistarsi. O il Grande Fratello che con la scusa di fare sentire le persone libere nel poter fare di tutto in realtà le teneva schiave dell'occhio della telecamera, manovrate a spese di una consumazione mediatica che omologa e annienta il cervello di chi vede come di chi è guardato.
Il controllo sociale per antonomasia; e quanto alti indici di ascolto, cioè soldi, questi programmi fanno e quanto abbrutimento inducono.
Non so che tipo di relazioni familiari stai vivendo ma posso essere pienamente d'accordo con te nel sostenere che genitori non si è se non si è diventati uomo e donna, spazio da dove poi nasce la comunicazione e l'ascolto verso i figli. Che l'autorità nell'educazione verso i figli non è dominio o manipolazione. Maschio e femmina riconciliati in se stessi poi genitori.
Spero davvero che tu possa vivere quella relazione familiare con genitori che sono diventati così fecondi. Mentre per la strada vedo e sento che siamo ancora lontani e nelle famiglie ci si uccide.
Mi sono anche domandato cosa e come stai vivendo la scuola, soprattutto quel piccolo ma essenziale, per l'identità individuale e sociale, gruppetto che è la classe. Se riflettete insieme sul senso che ambiente e natura giocano nella vita, che il rispetto che ad essi portiamo è indice del rispetto che portiamo a noi. Quali libri stai leggendo, se ti fermi mai almeno cinque minuti davanti al mare o dove senti che quello è un posto bello per la tua anima. Se gli insegnati che hai amano il loro lavoro a prescindere dallo stipendio, se ti aiutano, se educano non solo la mente ma anche lo spirito, se sono lì per comprendere insieme a te le tue esigenze profonde; o se ti trattano come uno a cui far fare le prove invalsi sempre più educato alla competizione del perfezionismo o ti accompagnano dai soliti politici a fare loro visita come se essi rappresentassero l'esempio morale da seguire.
Insomma con quali occhi stai vivendo il mondo in cui vivi. Chi sta intorno a te cosa ti sta mostrando?
Ti confesso un sogno: che è quello dove tu possa sentire il senso del tuo gesto, che tu voglia liberamente raccontare a chi decidi tu dove è nato il proposito di imbrattare così una parte stupenda della tua stessa vita, cioè la natura e l'ambiente in cui essa si dà a noi. Vedi ho detto “...tua stessa vita”, intenzionalmente ho usato questa immedesimazione profonda perché la natura ci offre se stessa per il nostro sostentamento e noi per osmosi viviamo in lei. Anche se si tratta di “pietre o massi” essi portano il segno della bellezza da cui essi sono formati e dalla cui bellezza noi ci nutriamo. Perché la bellezza è una come il medesimo utero da cui proveniamo. Essa non è astratta come un concetto poiché il contemplarla ha il suo effetto pratico nella nascita in noi delle virtù, quelle disposizioni e atteggiamenti che ci rendono esseri umani capaci di amare e di essere amati. Averti parlato di Dante Alighieri è stato perché tu potessi capire il senso della bellezza come fattore assoluto e determinante alla crescita di un uomo vero dove la libertà non è un vago diritto di fare ciò che vuoi e poi fuggire ma saper restare saldo in ciò che hai compiuto. Ci hanno creato artificiosamente tanta libertà ma mancano uomini liberi; forse anche su questo possiamo essere d'accordo.
E per liberarti, se vuoi, bisogna che tu accetti il peso della tua responsabilità, che tu esca fuori dai tuoi schemi e dica chi sei fino in fondo col tuo nome, e non per guadagnare nient'altro se non appunto il tuo nome. Il termine <<nome>> nell'antichità rinviava al senso della persona nella sua identità e integrità. Prova a scriverlo con la barretta <<no/me>> che ti risulta? Forse che stai negando la tua essenza, l'appartenenza al tuo essere profondo?
Diceva un buon vecchio saggio, un grande monaco, di nome Giovanni Vannucci: “non basta dire che l'oro esiste – intendeva dire quell'oro che ognuno porta nascosto dentro sé – bisogna mettere le mani nella dura materia – intendeva dire nella paura e nei dolori che ci paralizzano e che ci rendono duri e sordi e che gli altri spesso alimentano – nel magma che contiene la vena d'oro e liberarla con forte pazienza da tutte le scorie”
Un po' come nel rapporto d'amore che fino a quando non siamo pronti - senza sentimento di sfida – ad essere trasformati, osando tutto noi stessi, in fuoco d'amore, noi non valiamo niente.
Decidi: o lasciare una scritta che vale solo come amore passeggero su una scogliera (il regno del <<no/me>>) o vivere e costruire un amore sulla solidità della roccia da cui niente lo abbatterà.
Pierpaolo Calonaci
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