Probabilmente Corradino Mazzei – dei Pucinchetti – lo conoscevo già prima del primo ricordo che ho di lui, che è lungo la via del Ruotone, il ramo alto quando ancora non era stato tagliato da via Pocar e non c’era ancora la strada asfaltata che passa dietro il muro di Ottorino e sfonda fino alla soda. E’ il ricordo come una foto di un giorno di primavera. E’ il ricordo di un bell’uomo, di un giovane uomo, che teneva per mano una bellissima ragazza che lo guardava innamorata. Parole sussurrate con il riso in gola e il futuro che illuminava campi ancora verdi. Corradino e Pina.
Poi Corradino l’ho conosciuto davvero nella sezione del Partito Comunista Italiano: era il compagno tranquillo, giudizioso, di poche parole ma giuste. Uno di quelli di cui ti potevi fidare. Distaccato e presente. uno che pesava le parole ma giocava a carte nei bar e tifava per la Fiorentina. Un uomo del popolo che è stato anche consigliere Comunale in un momento in cui ci voleva coraggio a farlo.
Tempi tempestosi che non sapevamo felici, dei quali avevamo nostalgia anche se poi la politica e la vita ci fecero prendere strade diverse: lui, così poco ideologico e molto concreto, è stato sempre fedele ad ogni mutamento di nome di quello che rimase per sempre il suo Partito con la P maiuscola, io ormai lontano da una storia che era meno mia della sua quando ci stavamo dentro insieme, ma con forse più nostalgico di quell’avventura comune che ci rendeva compagni. Corradino alla fine, così moderato, coraggiosamente prudente, era un uomo moderno che non si è mai fatto scavalcare dalla vita. Io correvo più avanti di lui, ma a volte quando mi fermavo lui era già avanti, fumando sornione una sigaretta, aspettandomi dove era già arrivato.
Eppure, ogni volta che ci siamo incontrati, le mille volte che ci siamo incontrati, tra me e Corradino era rimasta quella strana cosa che ci faceva chiamare compagni, quella complicità della vita e del mondo che legava persone estranee che avevano vita e mondi diversi ma che si riconoscevano simili.
E ora mi dispiace di essermi lasciato scappare giudizi taglienti verso il Partito in cui era rimasto, quando a volte gli ho letto il dispiacere negli occhi chiari per le mie critiche che sapevano di lontananza.
Eppure, eravamo rimasti compagni come tanti anni prima. come quella volta che, avrò avuto 16 Anni, entrai col mio vespino 50 nella vetrata dell’assicurazioni Unipol che Corradino gestiva all’angolo tra via Garibaldi e via dei Malcontenti, proprio di fronte a dove c’era la sezione del PCI ora diventata pizzeria, di fronte a un altro taglio di strada. E fu Corradino, il danneggiato, a tirarmi fuori da un pasticcio come si fa tra compagni, tra chi mangia il pane insieme, anche se a ripensarci io e Corradino insieme non abbiamo mai mangiato, nemmeno alle nostre Feste dell’Unità.
Corradino era soprattutto una brava persona, una splendida persona che fino all’ultimo ha riservato un pezzo di sé stesso, della sua anima, alla sua gente e al suo Paese. Uno che fino a che ha potuto ha speso tempo e passione alla Pubblica Assistenza perché sapeva che si deve restituire il bene che si riceve e perdonare il male che a volte ci viene augurato.
Corradino era una delle colonne invisibili di Marciana Marina, una pietra angolare, una chiave di volta, uno di quelli che non ti ricordi subito ma che sono importanti, in maniera discreta. Un leader gentile. Anche se un paio di volte l'ho visto arrabbiarsi dell’ira tremenda delle persone buone.
Oggi per me è un giorno davvero triste, uno di quelli che ti arriva una notizia che ti stringe il cuore. Che ti fa sentire lo scorrere del fiume del tempo. Corradino se n’è andato e con lui ho perso un altro pezzo delle mia vita, come foglie in autunno, direbbe il poeta.
Una cosa mi consola: averlo incontrato non molto tempo fa di fronte all’Hotel Anselmi, sotto i cachi spettrali avvelenati dall’asfalto che fanno ormai frutti immangiabili che cadono a terra, poco distante da dove vidi un giovane uomo e una giovane donna tubare innamorati in una primavera lontana. Ci siamo fermati sotto un tiepido sole invernale a parlare di poco, dell’essenziale, della vita che passa, con una premura nascosta dal pudore, come si fa tra uomini. Ho visto la sua fatica e il suo coraggio, un velo negli occhi chiari. L’ho vista e, per la prima volta da quando ci conoscevamo, dal molto che ci conoscevamo, ci siamo scambiati un timido abbraccio e io l’ho lasciato con una carezza premurosa sulla schiena, come avrei fatto con il mi’ babbo se fosse vissuto fino a che fossi diventato anche io un uomo.
Ecco, di Corradino mi resterà quella carezza data finalmente a un compagno che ho ammirato, a un amico di molti, a uno di quegli uomini che è difficile perdere.
Umberto Mazzantini