Non si è esaurito l'entusiasmo del pubblico per la semitappa mattutina, che in poche ore si torna in scena con la seconda frazione, di quella domenica 23 maggio 1993, della partenza del Giro d'Italia numero 76, all'Elba. È una cronometro di 9 chilometri, tutta nel centro urbano di Portoferraio.
Proviamo a metterci su una bici, come fecero gli atleti quel giorno. La partenza è da viale Zambelli, dove oggi è l'ingresso del parcheggio dell'Eurospin. Appena scesi dalla pedana, si supera il bivio con viale Elba, dove oggi c'è la rotonda. Poche decine di metri e si curva a destra, in via Carducci. E via con il lungo rapporto, passando prima in via Vittorio Emanuele II e poi in calata Mazzini, a fiancheggiare la Darsena. Svolta secca nel fornice stradale di Porta a mare. E qui si balla sul lastricato di piazza Cavour prima, e la salita di via Guerrazzi dopo, toccando anche il 5% di pendenza. Si attraversa il tunnel stradale di Porta a terra, e via in discesa, facendo attenzione alla chicane che reimmette in via Vittorio Emanuele. Quindi svolta a destra verso le Ghiaie. E qui inizia il percorso a mangia e bevi, con curve anche insidiose, delle vie de Gasperi ed Einaudi, nella zona residenziale che si affiaccia sulla costa bianca (dove dall'elicottero delle riprese televisive si sbizzarriscono a trasmettere un mare mozzafiato). La strada va percorsa tutta fino al bivio con la strada provinciale per l'Enfola. Sul bivio si trova il primo rilevamento cronometrico.
Svolta a sinistra per scendere (i migliori su questa discesa toccheranno i 70 km/h!) fino a Concia di Terra. Frenata, svolta a destra, e di nuovo rapporto massimo per percorrere tutto il viale di Carpani, fino ad immettersi nella provinciale per Procchio. Inversione a U, per tornare verso Bivio Boni. Da qui è tutto uno spingere la corona massima, lungo la corsia sinistra, che normalmente le auto fanno in senso contrario (l'altra corsia, quel giorno, era aperta in doppio senso al traffico), l'ingresso in via Manganaro, per le ultime centinaia di metri, fino al traguardo.
La seconda parte è pianeggiante e con lunghi rettilinei, quindi per specialisti puri, passisti potenti. Ma la prima è per corridori che sanno guidare bene la bici, in un continuo di saliscendi, curve e controcurve. E infatti anche questa prova riserverà le sue sorprese.
È un pomeriggio assolato e caldo. Dopo aver assistito al passaggio sul Monumento, scendo a Marina di Campo, mangio qualcosa in un bar, e poi subito a Portoferraio, avessero a bloccare tutta la città, per la chiusura anticipata delle strade. Nel piazzale della fermata del porto degli autobus ci sono alcuni giornalisti di ogni testata nazionale, in attesa della partenza della cronometro. Infatti, se la memoria non mi inganna, la sala stampa della corsa è in uno dei locali sotto i portici dell'Atl. Uno di loro (purtroppo non ricordo più chi), molto gentilmente, mi dà un foglio con l'ordine di partenza della cronometro: ammesso che fosse stato pubblicato su qualche quotidiano, quel giorno, com'è ovvio, è impossibile trovare un giornale sportivo che sia uno in tutta l'isola.
Prendo posizione all'inizio di via de Gasperi, poco sopra l'ingresso dell'hotel Villa Ombrosa, sullo strappetto più duro del percorso. Ottima scelta, perché nel pomeriggio quel tratto di strada è in ombra. E quel giorno l'ombra è gradita.
Se il Monumento mi è sembrato uno stadio, credetemi, quel pomeriggio Portoferraio mi è sembrata un'antica arena romana. Mai visto un pubblico simile in città. Mi è sempre sembrata vuota retorica l'espressione “l'intera città si è fermata”, ma quel giorno non mi è mai sembrata così vera. Spettatori a ogni angolo dei nove chilometri, turisti che rinunciano a una giornata di mare per l'evento, striscioni e palloncini rosa.
Il bello della cronometro, disciplina forse non molto spettacolare vista in tv, ma molto tecnica, è di osservare uno a uno i corridori, vederteli passare a pochi centimetri, scrutare le loro espressioni, la loro concentrazione, la loro fatica, le loro smorfie. Sentire il clack del cambio di rapporto, lo stridio dei freni appena montati, il flusssh-flusssh delle ruote lenticolari.
Il passaggio di Claudio Chiappucci è da delirio di pubblico: Claudio inoltre sfoggia un bel casco con su disegnato un diavolo (El Diablo era il suo soprannome). Mi impressiona la bellezza stilistica di Miguel Indurain: non scatena un grandissimo entusiasmo del tifo, ma a me viene comunque da gridargli un “Grande Miguel!”. Applauditissimo anche il toscano Franco Chioccioli, non certo uno specialista delle crono, e quindi da supportare. Marco Pantani, partito tra i primi, merita l'applauso di circostanza del tifoso. Chi avrebbe mai potuto pensare che per quel ragazzo romagnolo saremmo andati in visibilio appena l'anno dopo. Ricordo anche il passaggio del campione statunitense Greg Lemond, ormai sul viale del tramonto, ma vincitore di ben 3 Tour de France e 2 campionati del mondo. Farà segnare il ventesimo tempo sul traguardo.
Gianni Bugno passa due volte, nella sua maglia iridata di campione del mondo: la prima in riscaldamento (all'epoca non tutti facevano i rulli, prima della cronometro), la seconda ovviamente in gara. Ed entrambe le volte scatena un boato. Mentre passa la prima volta, a bordo strada per non intralciare la corsa di chi è in gara, in quel momento sta gareggiando il campione d'Italia Marco Giovannetti, nella sua maglia tricolore. Devo ammettere che mi dispiace di averlo quasi snobbato per il campione del mondo. Marco infatti è stato un ottimo corridore, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 nella cronosquadre e vincitore di una Vuelta a Espaňa.
E ovviamente un bel tuffo nell'entusiasmo dei tifosi se lo fa anche la maglia rosa Moreno Argentin, l'ultimo a partire. Nessuno pensa che la sua maglia sia in pericolo: pur non essendo un cronoman, è fantaciclismo pensare che perda più di quaranta secondi in appena nove chilometri. Ma l'affetto per questo non più giovane campione e le emozioni regalate appena qualche ora prima scatenano il pubblico.
Se i pronostici vedono un plebiscito per la vittoria di Indurain, ancora una volta salta fuori la sorpresa. Il vincitore della crono è Maurizio Fondriest, che precede di due secondi il navarro, a una media di 50,784 km/h. Trentino di Cles, Maurizio aveva vinto giovanissimo e a sorpresa il mondiale del 1988. Ma è quel 1993 il suo anno d'oro: arriva all'Elba dopo una primavera di grandissimi risultati, tra cui un filotto di vittorie esaltante: Tirreno-Adriatico, Milano-Sanremo e Freccia Vallone. Qualcuno la spara grossa: può vincere anche il Giro. Ma pur essendone uno dei protagonisti, i suoi limiti in salita si fanno sentire, e centrerà un comunque onorevole ottavo posto.
Fondriest costruirà la sua vittoria proprio nella prima parte, quella più vallonata, che invece metterà in difficoltà Indurain, impossibilitato a sfruttare la sua potenza e la spinta di lunghi rapporti. All'Albereto la situazione si ribalta: sui lunghi rettilinei da Carpani a via Manganaro, Miguel può mulinare alla grande sulla corona da 56. Ma non abbastanza da recuperare lo svantaggio da Maurizio.
Terzo sarà il cronoman francese Eddy Seigneur, con 5 secondi di ritardo. Ottima è anche la prova di Bugno, quarto a 8 secondi. Ma esaltante è il risultato di Chiappucci, non certo uno specialista: Claudio arriverà sesto, sfruttando l'ottima performance nel tratto a saliscendi, guidando benissimo la bici, come suo solito, in ogni curva. E anche Argentin, non certo uno specialista delle prove contro il tempo, staccherà un ottimo quinto posto, perdendo solo dieci secondi. Confermando la teoria che la maglia di leader ti dà una formidabile spinta.
Il tempo di farsi una doccia nella palestra delle scuole di viale Elba, e i corridori volano verso gli imbarchi, con ammiraglie, staff delle squadre e tutta la carovana rosa. Il giorno dopo infatti si corre di nuovo: tutti devono arrivare in serata agli alberghi di Grosseto, dove partirà la seconda tappa. Ricordo particolarmente l'alacrità degli operai dell'organizzazione: appena terminate le operazioni di premiazione, è un affrettarsi a smontare podio e transenne, caricare camion di ogni attrezzatura immaginabile, e precipitarsi verso il traghetto. Lavorano con una velocità, una coordinazione e una precisione che suscitano invidia. In poche ore sembra che in via Manganaro non si successo nulla, se non fosse per le scritte pubblicitarie e la linea del traguardo sull'asfalto, che rimarranno impresse per diverse settimane, e su cui mi divertirò a passarci sopra in bici decine di volte.
Quell'edizione del Giro non sarà tra le migliori. Anzi, dicendola tutta, sarà noiosa. Tutti sono concordi nel dire che dopo i fuochi d'artificio all'Elba, saranno tappe scialbe fino alla penultima, la Torino-Oropa, dove, sulla salita verso il santuario, il lettone Piotr Ugrumov (13° nella crono elbana), compagno di squadra di Argentin nella Mecair Ballan, attaccherà Indurain mandandolo in crisi. Miguel riuscirà a salvare la maglia rosa, e bisserà la doppietta Giro/Tour, già centrata l'anno prima.
Anche questa volta il Giro all'Elba è un trionfo di pubblico: sono calcolati ben 30mila spettatori lungo le strade. Come se l'intera isola fosse scesa davanti casa a vedere la corsa. L'azienda di promozione turistica calcola che il giro d'affari è di un miliardo di lire, in appena un paio di giorni.
Ma soprattutto quello spettacolo è rimasto nei ricordi di chi c'era. Si chiamava semplicemente la partenza del Giro. Non come oggi, enfaticamente, la Grande Partenza. La presentazione dei corridori della vigilia era in tono minore. Non lo show hollywoodiano di adesso. Ma non importa. A dare un grande spettacolo quel giorno bastava l'Elba, le sue strade, il suo pubblico. E ciò basta e avanza.
Andrea Galassi