Gentile direttore,
nell’esprimerle la stima che nutro per la testata che dirige e il suo lavoro, le sottopongo un paio di amare riflessioni su allerte meteo e chiusura degli edifici scolastici. Come certamente sa, dall’inizio dell’anno scolastico, siamo alla terza chiusura per avverse condizioni meteo.
Ma prima di proseguire devo fare due doverose premesse. La prima è che sono lupus in fabula, sono un insegnante che presta servizio nei Licei dell’Isola da ormai sette anni. Il mio punto di vista è quindi situato, o se preferisce di parte, ma soprattutto esprime una posizione personale e non di “rappresentanza”.
La seconda premessa è un invito al lettore o alla lettrice: se pensa che la chiusura di un edificio scolastico sia in sé un fatto indifferente, che lascia il tempo che trova, allora è meglio che dedichi il suo tempo ad altro che alla lettura di questo articolo.
Fatte queste premesse passo alle due riflessioni che vorrei sottoporle. La prima riguarda la logica, la ragione e il senso, delle chiusure degli edifici scolastici in caso di allerta meteo. Come tutti sanno la chiusura degli edifici scolastici è determinata da un’ordinanza sindacale (per il lettore che non mastica l’antilingua degli uffici: del sindaco, non dei sindacati). L’ordinanza dispone la chiusura sulla base della considerazione delle condizioni meteo avverse, quindi di un bollettino tecnico che viene comunicato dalla Protezione civile provinciale e che ha il fine di organizzare la logistica degli eventuali interventi. C’ è anche una seconda considerazione che dispone la chiusura: l’afflusso di mezzi pubblici e privati a Portoferraio da ogni parte dell’Isola in prossimità con lo stato di allerta. Chiarito questo argomenterò su un piano che non è quello burocratico-amministrativo, inappuntabile, ma per così dire civile e professionale.
Parto da una tesi che in democrazia dovrebbe essere scontata, un postulato, ovvero chi amministra un’istituzione comunale individui nei dispositivi legislativi e nelle dinamiche di potere il mezzo e non il fine della propria azione. Bene, è effettivamente così? Chi amministra un comune o un’istituzione locale sa benissimo che l’azione di governo è assumersi responsabilità. E assumersi responsabilità significa stabilire quali sono le priorità nella gestione della cosa pubblica.
Ebbene la facilità con cui si dispone la chiusura degli edifici scolastici nel comune di Portoferraio ci dice due cose: la prima che i bollettini della Protezione civile, nel momento in cui toccano lo stato di allerta arancione, hanno una priorità sul diritto all’istruzione dei giovani e delle giovani cittadini e cittadine dell’Isola. Si tratta di una delega in bianco del decisore politico alla razionalità dei tecnici che mi risulta essere una prassi e non una necessità normativa: basta parlare con colleghe e colleghi di altri comuni e province per scoprire che lo stato di allerta arancione non è sinonimo di chiusura.
Nel nostro caso non si tratta di cosa da poco o di un meccanismo automatico ma della consapevole (o inconsapevole) stima del peso della scuola nella società elbana. Un territorio, ricordiamolo, che anche in virtù del suo isolamento geografico soffre già di un’esasperazione nell’impiego di personale scolastico precario e di scarsa considerazione nella costituzione di reti e alleanze educative di portata regionale e nazionale. Non è un caso che, stando ai dati consultabili su Eduscopio e sui report dell’Istat, all’interno della provincia di Livorno i nostri istituti superiori si distinguono per tassi di abbandono scolastico sopra la media e per il più alto tasso di abbandono degli studi universitari al secondo anno di corso. Sono dati che dovrebbero metterci in allarme e portare le istituzioni locali a fare il possibile per potenziare e ampliare gli spazi del tempo scuola. Così non è purtroppo, visto l’automatismo con cui si dispongono le chiusure e i motivi per cui ciò avviene.
In due casi recenti c’è anche la cattiva coscienza, da parte dell’istituzione provinciale nel primo e di quella comunale nel secondo, che i nostri edifici scolastici sono in evidente sofferenza strutturale (mi riferisco alla temporanea chiusura del plesso del Grigolo e di Casa del Duca).
Aggiungo poi una considerazione di carattere professionale, da insegnante che ha vissuto lo spartiacque della pandemia e della didattica a distanza.
La chiusura degli edifici scolastici segna una perdita difficilmente recuperabile sotto due punti di vista, quello della socializzazione e quello degli apprendimenti.
Nel primo caso priviamo i ragazzi e le ragazze di uno spazio in cui si rompe la parete degli schermi che li accompagna nel vissuto domestico. Permettiamo loro di esprimere nell’interazione sociale della classe pensieri, sentimenti, disagi che altrimenti verrebbero vissuti in solitudine. L’aumento del disagio psicologico, degli attacchi di panico, è in parte anche figlio dell’isolamento che abbiamo sperimentato tutti tra il 2020 e il 2022.
Sul piano degli apprendimenti la chiusura della scuola è poi un danno irreparabile, dal momento che l’apprendimento ha tempi e modi di realizzarsi che dipendono dagli obiettivi che ci si pone e dalle attività con cui si cercano di raggiungere. Sottrarre tempo alla scuola significa ridimensionare questi obiettivi e quindi impoverire l’apprendimento, visto che non si può stabilire a tavolino un tempo di recupero altrettanto efficace: i ragazzi e le ragazze non sono intelligenze artificiali disincarnate, due ore a ottobre non sono uguali a due ore ad aprile. Faccio quest’ultima considerazione da insegnante in due quinte liceo scientifico, con l’Esame di Stato alle porte.
La seconda, più breve, riflessione che vorrei sottoporle riguarda una delle considerazioni sulla base delle quali si dispone la chiusura, ovvero l’afflusso di mezzi pubblici e privati su Portoferraio da ogni parte dell’Isola in condizioni meteo avverse. Premesso che non sono un esperto di mobilità, e quindi non sta a me pensare e offrire soluzioni, qui pare che il problema non siano tanto le condizioni meteo quanto il dissesto della rete viaria e soprattutto un modello di mobilità insostenibile che fa del centro storico di Portoferraio e di via Carducci/Manganaro un’arteria perennemente congestionata, della strada per San Giovanni una lotteria del sinistro, per non parlare poi dell’assenza di parcheggi gratuiti per chi lavora o studia.
Assumersi la responsabilità del governo del territorio implica anche pensare ad un modello di mobilità urbana ed extraurbana non completamente prono alle esigenze voraci dell’economia del turismo. Perché la fragilità del trasporto pubblico, ad esempio, sottrae ulteriori possibilità di utilizzare il tempo scuola continuato, soprattutto nel pieno della stagione invernale.
Il diritto all’istruzione dei giovani e delle giovani cittadini e cittadine dell’Elba viene prima del diritto di tutti a muoversi con ogni mezzo e dappertutto, viene prima delle esigenze di bilancio delle aziende del trasporto pubblico locale. O almeno dovrebbe. Altrimenti, e questo lo dico da educatore, trasmettiamo il messaggio che la politica non può mai nulla, non può incidere in nessun modo nel miglioramento della qualità della vita. Non stupiamoci poi dell’astensione elettorale e di un profondo scollamento tra i giovani e la vita pubblica.
Mentre scrivo queste considerazioni fuori, a tratti, splende il Sole. Spero di poter uscire, al più presto, dalla caverna in cui si proietta senza soluzione di continuità la logica dell’allerta.
La ringrazio e le rinnovo la mia stima.
Marco Ambra