Racconto di una serata qualsiasi di un elbano che è in continente e sta tornando a casa.
Sono le 19:30, stai percorrendo l’Aurelia, rallenti perché sei vicino allo svincolo di Venturina, ti sorpassa il Kangoo di un artigiano di Roma (glielo leggi sulla fiancata), esci, in una decina di minuti sei a Piombino, la nave partirà, tira un bel vento da sud-est ma partirà, alle 22:30, cioè tra tre ore, arriverai a casa a mezzanotte, vabbè.
Ti fiondi sul porto alle 19:45, il biglietto ce l’hai già, avevi fatto andata/ritorno, non sei mica così tonto da suicidarti nella ressa alla biglietteria che riaprirà alle 21:10, hai fame, ti viene voglia di andare a mangiare ammodo da qualche parte - il tempo non ti manca davvero - e invece no.
Lasci stare, non sia mai, è troppo forte il ricordo di quel video.
Sì, quel video lì, dove vola un gollettone e un tizio monta a bordo dell’ultima nave di forza, con la macchina e tutto.
Perché non sei nemmeno così scemo da ignorare che il fulcro di quel video non è l’atto di prepotenza, bensì la dozzina di macchine rimaste a terra, i cui occupanti, meschini, si sono arrangiati per la notte.
La storia insegna, quello che è già successo può succedere di nuovo.
Perciò, con questa penuria di corse giornaliere, la domanda non è se, ma quando.
Sei sul porto deserto con quasi tre ore d’anticipo dalla partenza di quell’agognata Toremar, sai perfettamente che le probabilità di non imbarcare - proprio te - sono pressoché nulle, a patto di metterti in coda subito e non abbandonare il presidio per nessun motivo.
Così fai, posteggi la T-Roc davanti al molo, vai a passo svelto alla stazione marittima e ci stai meno che puoi.
Torni a razzo giù a banchina con dei troiai da mettere sotto i denti, sono le 20:00, alcune macchine cominciano a rimpinguare la coda di cui sei capofila.
Sei tranquillissimo, sai che monterai a bordo e ti senti addirittura privilegiato perché sai che dormirai beato nel tuo letto. Tardi, ma almeno nel tuo letto.
Quello che non sai è: come passerai all’addiaccio sul molo queste cazzo di due ore e mezzo?
Semplice, osservando cosa fanno gli altri, gli occupanti delle macchine che via via si mettono in coda che va formandosi su quattro file.
Ed è un passatempo assurdo, bisogna però star fuori a passeggiare avanti/indietro e scrutare senza dare tanto nell’occhio.
La metà della gente non la consideri perché, prevedibilmente, o fuma una sigaretta dietro l’altra oppure è assorta a capo chino a spippolare sullo smartphone.
Ma sull’altra metà è uno spasso, una specie di gioca-jouer dove niente è pianificato, tutto è spontaneo.
C’è il Q7, un grande suv con dentro una coppia radical-chic che ascolta De Gregori in sottofondo, al volante c’è lei. La signora cambia il colore delle luci ambiente ogni tre per due, si passa a ripetizione la mano tra i capelli mossi, guardandosi in ogni specchietto possibile, compiaciuta, e infine telefona; lui invece di cose non ne fa nemmeno mezza, è zitto e immobile, a momenti manco respira, avesse a stuzzicarla, guai: ci sta che nella lunga attesa la signora prima o poi esploda e lui, fin troppo consapevole di essere (sempre e per sempre) la sua valvola di sfogo prediletta, desidera soltanto che il prevedibile prossimo accesso di ira/impazienza della sua dolce metà gli si riversi addosso il più tardi possibile, se non proprio mai.
C’è il funzionario, abbondantemente sovrappeso, incastonato nella Yaris che oscilla a destra e a sinistra: si sta raspando il culo.
C’è il Qashqai con a bordo una giovane famiglia, marito e moglie davanti, due bambini dietro che imbastiscono una garetta alla volée: vince chi estrae la caccola più grossa, integra e senza filamento. Ci sta che partecipi anche il babbo, con la mamma che, inerme e un filino disgustata, sopporta. I bimbi presi dalle loro escavazioni non fanno casino, va bene così.
Ci sono quelli sulla Kuga che hanno fatto tutta una tirata da Milano (lo sai perché li conosci, vi siete anche sentiti per telefono poco prima), scendono insieme e camminano a gambe larghe: dopo quattro ore di fermento con la cintura che pigiava sulla pancia, sai che sinfonia...
C’è quello smilzo con gli occhiali nel Sandero che con l’unghiolo cerca, con nonchalance, di ripulirsi le orecchie dal cerume.
C’è il Ducato, un pulmino a nove posti stivato oltremisura che avella di sudore (si deduce dai vetri appannati), i cui giovani occupanti, di ritorno da una disfatta sportiva, infilano la mano dentro la maglietta e si mantrugiano l’ascella pezzata, annusando pure soddisfatti.
C’è il Cherokee con alla guida un insospettabile signore che si tradisce, è palese la sua mossa sbagliata: scende e va sedersi dietro. Perché fa questo? Perché gli serve spazio: si sfila le scarpe, si toglie i calzini di tre giorni e si scaciotta i piedi in modo compulsivo, sembra un pianista impazzito.
Ci sono i quattro sul Pajero (il quinto c’è ma non si vede, collassato nella bauliera) che belli gonfi fanno scintille, freschi reduci da un pranzo da battaglia andato per le lunghe in quel di Sassetta, ospiti d’onore di un carissimo amico che non vedevano da anni: ridono sguaiatamente, cantano, berciano. Ci penserà dopo l’onda lunga di scirocco a metterli in riga, uno accanto all'altro con un collettivo lancio dello spaghetto fuoribordo - a fa' mangianza per le boghe del canale.
La banchina insomma pulsa (e puzza) di vita, talmente tanto che alle 21:45 accade il miracolo “la sovversione del dogma”.
Dopo un’oretta di letargo l’omino del Q7, disgustato dall’ennesimo starnazzare della signora al telefono con la parrucchiera, perdipiù in vivavoce, spezza le catene e finalmente sale in cattedra, ammicca alla sua Greta Garbo (ostinata a rufolarsi i capelli dietro istruzioni) e riscatta i soprusi di una vita, sibilandogli in ghigna: "Bada lì che chiorba che hai dé! Hai una ceppata in capo che sembri Tarantini!" (*)
Poi, alle 22:10, montate tutti a bordo ordinatamente, per fortuna nessuno rimane a terra, la Toremar salpa puntualissima alle 22:30 e mentre oltrepassa la torre di Passannante, alle 23:30 spaccate, ti ritorna in mente l’artigiano di Roma, città eterna, situata oltre 250 (leggasi: duecentocinquanta) km a sud di Piombino, che sicuramente è già arrivato a casa, ha già mangiato (non certo troiai, ma come si deve dalle sue parti: amatriciana, saltimbocca ecc…) e magari ha avuto il tempo per una seduta di meditazione sul WC.
Perché nella sconfinata attesa di tornare a casa ci sta tutto, ma l’elbano, le physique du rôle del defecatore serale a Piombino, suvvia, anche no.
Michele Melis
(*) Nella foto: Alberto César Tarantini, terzino sinistro dell’Argentina campione del mondo nel 1978.