Alcuni anni fa (ma comunque nel nuovo millennio), insieme alla Professoressa Angela Calistri, accompagnai una classe della Scuola Media di Portoferraio in una particolare "visita guidata", lungo una strada del Centro Storico, raccontando a quei ragazzi di fronte a ciascuna porta o serranda chiusa, quale attività commerciale o artigianale veniva esercitata in quei fondi quando avevo la loro età.
"Qui c'era una latteria, qui un falegname, qui un fruttivendolo, qui un tappezziere, qui un alimentari..." e via con l'idraulico, la mescita di vino, il negozio di confezioni, il corriere, la tabaccaia, il mobiliere, il dentista e decine di altri etc.
Ricordo ancora le espressioni quasi incredule di quei ragazzi nell'apprendere che le signore e i signori che abitavano là, fuori del portone di casa, trovavano una specie di "supermercato diffuso" a portata di mano (e di piede), in grado di fornire giorno per giorno quello che necessitava ad ogni famiglia.
Orbene c'è un'espressione ferajese un po' lugubre e ruvida, ma efficace, per sottolineare un fatto incontestabile: "Il morto è ne la bara", e non ci sono cazzi: Mortoferraio è ne la bara, il suo Centro Storico è sempre più un "residence estivo" svuotato di indigeni ferajesi, sempre più vetrine si spengono per non riaccendersi, esercizi cambiano gestione e i subentrati "mollano" dopo una/due stagioni.
E non ci vogliono le indagini del RIS per capire chi ha "trapassato" il caro estinto, chi l'ha strangolato.
Si fa chiamare pomposamente "Sviluppo urbanistico turistico economico commerciale" omettendo di aggiungere ABNORME.
Ora poi, se molte amministrazioni portano responsabilità della caduta (e gliene ho scritte "di pelle e di becco" anche quando erano "mancini" come me), gli ultimi arrivati mi fanno mettere in dubbio la fondatezza di un'altra popolare allocuzione come: "siamo nelle mani dell'ultimo padrone". Così sganasciati mai, ma potrebbe anche andare peggio.
Abbiamo consumato suolo come se fosse acqua fresca, riempito periferie e valli di superflue case, impestato di sovrabbondanti supermercati il territorio, distrutto (talvolta anche con la benedizione delle associazioni di categoria) il reticolo del piccolo commercio, contemporaneamente lasciando "al deboscio" e priva di servizi degni di chiamarsi tali la città murata.
Ora il ganzo è che questo articolo lo avevo iniziato per segnalare un evento, minimo ma significativo, di segno opposto. Una fiammella di luce in questo buio pesto.
Volevo parlare di un'attività che apre, o meglio riapre in Centro Storico, un forno dove c'era un forno, in via Gori dietro il palazzo della Biscotteria.
Ci lavora una famiglia venuta da oltremare, persone perbene abituate a faticare, disposte a fare un mestiere che: "... alzarsi di notte? Aù baule! (come dicevo pocanzi)" i nuovi ferajesi si guardano bene da considerare.
Spero che resistano e prosperino, ne abbiamo bisogno come del pane.
sergio