Il 23 marzo ho mangiato le buonissime frittelle preparate dai volontari della Pubblica Assistenza di Marciana Marina, eppure, le frittelle più buone che abbia mai mangiato sono quelle piccole e tonde come una biglia, dorate e morbide, tutte uguali come in un miracolo, che faceva Tonina e che immancabilmente ci portava parsimoniosa in un piattino il giorno di San Giuseppe, massimo una dozzina per 5 persone.
Non ho mai più mangiato frittelle come quelle e noi eravamo convinti che fossero così buone perché quel saporino che sentivamo, quel goccio di liquore segreto che Tonina metteva nel riso, fosse magia. Perché, ne eravamo convinti, Tonina era una cattolicissima strega.
Tonina, la nostra vicina di casa e pianerottolo, vantava discendenze di ufficiale napoleonico, era nata a San Paolo del Brasile, poi i genitori erano tornati a Marciana Alta da dove lei era scesa a La Marina per sposarsi e mettere su famiglia, per poi vivere da vecchia dentro la casa con la porta chiusa davanti alla quale approdarono poveri in canna e con due figlioli piccoli la mi’ mamma Jole e il mi’ babbo Veleno.
La nuova casa di Jole e Veleno non aveva acqua e luce, per l’acqua bastò per più di 10 anni la fonte sulla strada che era – ed è - proprio sotto la finestra, subito dopo le scale di granito e al crocicchio tra via del Ruotone e via San Giovanni, accanto alla volta che porta in via San Francesco; per la luce venne tirato un filo che portava dal contatore di Tonina alla porta di fronte e fu come mettere un guinzaglio magico, qualcosa che legò il destino di Tonina e Jole.
Tonina era una fattucchiera che contava il tempo con le messe all’alba e al tramonto e le ore, i minuti e i secondi con i grani infiniti del rosario e preghiere sussurrate come una litania magica. Sapeva togliere (e fare) il malocchio con l’acqua e l’olio, levare i vermi di bimbi e bestie con l’aglio e preghiere, tagliare le trombe marine con pane benedetto e formule magiche che conoscevano solo lei, altre poche donne e Cristo e gli angeli.
Tonina si infilava in casa nostra come fosse sua – ma nessuno di noi è mai entrato nella sua casa – e spesso, quando il mi’ babbo comunista era in sanatorio a Grosseto o in mare a pescare - presenziava seduta muta alla nostra tavola a pranzi e cene (“Viene a contarci i bocconi”, diceva Jole) e l’inverno a prendersi la brace del cammino per lo scaldino con quale si riparava dal freddo sotto le coperte del suo letto di vedova.
Jole temeva Tonina, sia per il malocchio che poteva farci, sia per la luce che ci dava, sia per la nostra miseria e le sbornie di veleno che raccontava alla beghine di una chiesa dove noi non andavamo, per lo scandalo accigliato di Tonina che si era presa il compito di tenere almeno sotto controllo con la preghiera quella famiglia di miscredenti, non avendo il potere di convertirla con la sua magia, che quello è compito del prete e Don Zeni non ci provava nemmeno.
Ma quel che teneva Jole davvero legata a Tonina era quel guinzaglio elettrico, quel filo tra una porta e l’altra che ci permetteva di tenere accese le due lampadine nude che rischiaravano la nostra casa di due stanze e col pavimento avvallato di mattoni rossi consumati, come se ci avessero sparato con un fucile a pallini.
Un guinzaglio che Jole, ignara e lontana da qualsiasi cosa fosse minimamente burocratica, non aveva mai tagliato, non pensando nemmeno a fare una richiesta di allaccio all’Enel e pagando faticosamente la cifra che Tonina gli annunciava ad ogni arrivo della sua bolletta.
Ma quel guinzaglio magico, quell’incantesimo, lo tagliò proprio Tonina. Le cose andarono così, almeno per quel che mi ricordo:
Io avevo una dozzina di anni e Mario forse 8 e Jole decise che era venuto il tempo di farci fare la cresima e la comunione, come facevano tutti. Si svenò per comprarci dei vestiti decenti e ci trovò un padrino improbabile ma prestigioso: Ivano Cipriani, un intellettuale comunista che si occupava di cinema e cultura e che scriveva per il prestigioso settimanale del PCI “Rinascita”. Una cosa abbastanza scandalosa per la cattolicissima Tonina che, saputolo, in quei giorni mulinava i grani del rosario come non aveva mai fatto, sussurrando parole che Jole temeva fossero maledizioni e che invece erano probabilmente esorcismi per difendere dal diavolo comunista quei due innocenti.
Fu in quel clima di torti non detti che una mattina ci fu tra Jole e Tonina una furiosa litigata della quale non abbiamo mai saputo davvero le ragioni, ma quando, tornammo a casa ancora salati di mare, la trovammo buia. Tonina ci aveva staccato la luce il giorno prima della nostra cresima e comunione.
Le due donne non si parlarono più e, per mesi, Jole temette una maledizione, un malocchio che forse non arrivò perché era difficile caricarci di altre legne verdi, nemmeno con la magia.
Poi, cresimatici e comunicatici per la prima e l’ultima volta, di fronte a una candela accesa posata sulle assi verdoline del tavolino di cucina, la mi’ mamma, fece finalmente la domanda per allacciare la luce ed entro pochi giorni ci piazzarono in casa un grosso contatore nero con i numeri bianchi che giravano come i grani del rosario di Tonina e, alla prima bolletta, Jole si accorse, nero su bianco, che per una decina di anni avevamo pagato sia la nostra luce che quella di Tonina.
Un’altra magia della fattucchiera che faceva le frittelle più buone del mondo.
Umberto Mazzantini