Le barche a vela hanno una tale vocazione alla libertà che bisogna tenerle legate altrimenti, appena giri l’occhio, se ne vanno e non le trovi più. Il problema sembrerebbe risolto dalle cime d’ormeggio se non fosse per il fatto che le barche, a star troppo a lungo costrette in banchina s’inchiattano, invecchiano precocemente, s’impolverano, perdono in eleganza, malizia, leggerezza.
Un po’ come i cavalli, al trotto, al passo, al galoppo, con una certa frequenza vanno sbrigliate e portate a zonzo, di bolina, al traverso e in poppa. E’ dimostrato che in mancanza prolungata d’aria e di mare aperto le barche a vela subiscono una lenta ma costante metamorfosi tale da ridurle, in periodi di tempo nemmeno troppo lunghi, a succedanei delle roulottes, ma più scomode. Tubi nei quali dormire male e mangiare peggio. Trascuro volutamente di descrivere le difficoltà relative all’espletamento delle naturali funzioni corporali in luoghi di decenza quali quelli delle barche, più adatti a contorsionisti masochisti che a individui semplicemente desiderosi di liberarsi dell’inutilizzabile.
Per questo, immagino, era nato a suo tempo il trofeo Mancini della Lega Navale di Portoferraio. Per dar modo alle barche di muoversi, senza perdersi, anche durante la stagione in cui gli armatori preferiscono tenerle sempre impiccate a qualche cima. Intendiamoci, era un vero trofeo, con le coppe e i giudici, i rating e le classifiche, le boe e i bandi di regata nel quale, tuttavia, la componente agonistica, conviveva e si integrava con quella gaudente e conviviale, da gita fuori porta. Si trattava di una regata popolare ma non povera di sensazioni, vagamente anarchica, nella quale coesistevano alla pari le motivazioni più diverse, dalla voglia divorante di vincere, all’appagamento dell’andar per mare in una giornata d’inverno.
Quando ha chiuso, perchè qualche anno fa, appunto, chiuse, può anche darsi sia successo per stanchezza. Mi convince però di più addebitare la fine del passato trofeo Mancini alla prevalenza, determinatasi, a occhio, dall’inizio del nuovo millennio, della componente agonistica a dispetto della seconda, quella più spensierata. Anno dopo anno il giocare senza vincere o anche il vincere continuando a giocare non risultarono più attuali, non andarono più d’accordo con lo spirito di partecipanti sempre più attrezzati in termini tecnici ma sempre meno capaci di divertirsi anche senza arrivare primi. Fu la controprova che il trofeo non a caso dedicato, ripeto, a Mauro Mancini non era nato come una normale gara di barche, nient’altro cioè che un banco di prova per uomini e materiali, ma come un affare dai diversi significati senza la promiscuità dei quali si sarebbe inaridito. La buona notizia è che sebbene dato per morto è risultato essere stato soltanto in letargo. Fatta una sana dormita da quest’anno ha riportato le barche in mare.