Alla fine la vecchia e grande ancora in ferro, probabilmente appartenuta ad una imbarcazione della fine del XIX secolo, è tornata ove è stata per più di cento anni, sul fondo del mare, a 25 metri di profondità al largo dell’isola di Pianosa. Si è conclusa così, con il riposizionamento del reperto sul medesimo punto ove era stata asportato alcuni mesi fa, una vicenda che ha impegnato a lungo il personale della Guardia Costiera di Portoferraio.
Il tutto era iniziato verso la metà di novembre, quando nel corso di accertamenti seguenti ad informazioni, i militari della Capitaneria di Porto elbana, avevano rinvenuto una grossa ancora in ferro, di oltre tre metri di altezza e seicento kg di peso, tranquillamente adagiata nel giardino di un residente di Campo nell’Elba. È apparso subito evidente ai controllori che quell’oggetto doveva avere un rilievo storico/archeologico. Da lì è iniziata dunque una complessa indagine volta ad accertare da dove provenisse quel reperto e da chi fosse stato asportato. Il tutto sotto l’efficace coordinamento della magistratura della Procura della Repubblica di Livorno, della Direzione Marittima della Toscana comandata dall’Ammiraglio Arturo Faraone e con la costante collaborazione della Soprintendenza Archeologica della Toscana nella persona della D.ssa Pamela Gambogi.
Attraverso metodi di indagine tradizionali ed interrogatori incrociati, uniti a più complesse verifiche mediante i sistemi informatici di monitoraggio della navigazione e il ricorso ai filmati delle videocamere presenti nel porto di Marina di Campo, si è potuto ricostruire l’accaduto e cioè che una persona – anch’essa residente nel comune di Campo nell’Elba – aveva messo in piedi un’ articolata manovra mirata all’asportazione del reperto archeologico dal fondale marino.
Ed infatti si trattava proprio del cd. “Ancorone” che dà il nome all’omonima secca a nord dell’isola di Pianosa. Un punto ed un reperto ben conosciuto dai subacquei e dai centri di immersione locali che proprio sul quel sito, per la bellezza dei fondali e la presenza di quell’oggetto storico, ogni anno organizzano numerose visite guidate.
L’uomo, esperto subacqueo, si era immerso presso il punto di prelievo e aveva portato a galla l’ancora, mediante la gru di un peschereccio appositamente reclutato. Con quella barca il reperto archeologico è stato condotto sino a Marina di Campo ove poi, con il favore dell’oscurità e con l’ausilio di un autocarro guidato da una terza persona, veniva trasportato e temporaneamente depositato presso il giardino in cui è stato rinvenuto, in attesa della destinazione finale.
L’intricata rete di relazioni messa in piedi dall’ideatore del prelievo, unita alla reticenza di molti dei personaggi coinvolti, ha reso non semplice il lavoro degli accertatori che alla fine sono giunti tuttavia ad avere un quadro preciso dei fatti, procedendo così alla denuncia nei confronti dell’autore della rimozione per impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato secondo quanto previsto nel Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, furto aggravato ed appropriazione indebita. I medesimi reati sono ipotizzati in concorso per altri partecipanti all’azione illecita.
Nel frattempo la grossa ancora – posta ovviamente sotto sequestro e custodia – già intaccata dall’azione di rimozione, è stata sottoposta alle opportune verifiche ed approfondimenti scientifici della competente Soprintendenza Archeologica della Toscana che alla fine ha deciso che la migliore soluzione per conservare il reperto fosse quello di riposizionarlo nel punto originario.
Si è così organizzata – da parte della stessa Guardia Costiera di Portoferraio – la complessa e conclusiva opera di riposizionamento.
Attesa qualche settimana per poter procedere nelle migliori condizioni meteo marine, si è chiesto l’intervento degli specialisti del nucleo subacqueo Guardia Costiera di Genova e nuovamente con l’ausilio di mezzi terrestri e imbarcazioni idonee a movimentare e trasportare il grosso e pesante oggetto, si è proceduto a calare l’“Ancorone” sul punto esatto da cui era stato prelevato qualche mese addietro. Le operazioni, durate complessivamente sei ore sono perfettamente riuscite, restituendo così il reperto a quella che ormai era divenuto il suo ambiente naturale e dove potrà continuare ad essere visitato da tutti gli appassionati di subacquea, con una storia in più da raccontare, quella di quando qualcuno provò invano a portarla via da lì.
Al termine di questa operazione il Comandante della Capitaneria di Porto Andrea Santini intende esprimere il proprio sentito ringraziamento a tutti coloro – enti istituzionali e privati – che hanno collaborato e contribuito alla positiva risoluzione della vicenda, dimostrando che il lavoro di squadra mirato ad un obiettivo comune permette sempre di ottenere grandi risultati a favore della collettività.
In particolare si ringrazia il responsabile del centro di immersione subacquea “Talas Diving” per l’opera prestata nel corso dell’operazione.