Quando le radio funzionavano a valvole .. il verso di una canzone di De Gregori, mi viene in mente apprendendo della scomparsa di Luciano Bicecci, perché la prima volta che l'ho incontrato nel laboratorio di Sergio, suo cugino, era al banco di lavoro con lo chassis di un vecchio televisore aperto, sul quale armeggiava. Aveva 18 anni e io 13, e in quel laboratorio, cercando di imparare qualcosa sull'elettronica, ci bazzicavo spesso.
Mi ricordo che provai per lui una corrente di istintiva simpatia: era, già allora, tranquillo, gentile e dotato di ironia.
Le stesse doti (condite dall'intelligenza politica e dalla onestà intelletuale) che imparai ad apprezzare in un altro periodo di più lunga ed intensa frequentazione, nelle stanze del PCI di Portoferraio, in particolare negli anni 70/80, quando dopo un breve segretariato di un ragazzino (l'ora maturo signore che stende queste righe), si alternarono alla guida della sezione, che allora contava oltre 700 iscritti, uomini di grande spessore culturale ed umano, quali Gian Piero Berti, Plinio Pellegrini e, appunto, Luciano Bicecci.
Persone votate alla politica in perfetto disinteresse e lealtà, il cui ricordo mi fa guardare ai nostri giorni con una punta di amara delusione.
Luciano era uno di quei grandi uomini, destinati ad essere sottovalutati per il loro pudore, perché poco ambiziosi e poco inclini all'autopromozione.
Fu "triturato politicamente" al pari di diversi altri "eccellenti cervelli", da un PCI come quello isolano, squassato dai localismi e dai personalismi (le malattie della politica elbana più difficili da guarire).
Aveva lasciato la politica attiva (dedicandosi a tempo pieno, dopo le valvole e i transistori, alla sua nuova attività di - ottimo - ristoratore), ma non aveva mai cessato di esserne acuto osservatore.
Ogni volta che scrivevo un pezzo per l'Unità "rilevante" ero certo che lui lo avrebbe letto attentamente, così come ero certo che, se non ne avesse condiviso il contenuto, o al contrario si trovasse in sintonia, non avrebbe mancato di telefonarmi o "chiacchierarne", anche giorni dopo, al bar.
Si dice spesso che chi se ne va lascia un incolmabile vuoto, espressione spesso usata come "di circostanza", ma saremmo tentati di ricaderci, se non fosse che Luciano ci lascia anche il "pieno" di umanità del suo ricordo, quello di un uomo della sinistra "vero" intriso di tanta voglia di lottare contro le piccole e grandi ingiustizie del mondo, quanto di mite pazienza e tolleranza.
Ciao Luciano, un abbraccio alla tua grande famiglia