Seconda udienza del processo all'ex Segretario Generale del Comune Michele Pinzuti, nella quale tra gli altri è stato sentito proprio il funzionario accusato di truffa aggravata, e si è delineata una linea difensiva orientata sulla rappresentazione di un quadro della vicenda che chiamerebbe in causa, e non in maniera lieve, gli Amministratori portoferraiesi.
Secondo Pinzuti infatti non solo i 5.000 euro richiesti all'imprenditore Ferrini corrispondevano a quanto previsto dalle tabelle di legge per la registrazione e per i diritti di segreteria necessari per la convenzione fra Comune e l'impresa Valdidenari srl per la realizzazione del piano Peep, ma l'irrituale richiesta del versamento in contanti, sarebbe stata dettata dal dovere "procedere in fretta data l'urgenza che mi era stata rappresentata dal sindaco Ferrari quella mattina".
Ma come - sempre a detta di Pinzuti - si sarebbero esplicitate queste pressioni da parte del sindaco nel fatidico giorno del 18 Dicembre 2014? L'imputato che dichiarava in primo luogo di non sapere fino ad allora nulla di quella convenzione, affermava che Mario Ferrari lo aveva spinto a concluderne l'iter dicendogli che se ciò non fosse accaduto egli sarebbe stato di fatto responsabile del licenziamento degli operai da parte della ditta, peraltro in periodo natalizio.
Non solo, Pinzuti affermava che al momento in cui aveva formulato la richiesta del denaro a Ferrini gli amministratori erano presenti: "Eravamo andati nell'ufficio del vice sindaco per stampare il contratto e, quando ho chiesto a Ferrini i cinquemila euro, nella stanza c'era anche il sindaco Ferrari, il suo consulente Parigi e altri componenti della giunta".
Ma perché poi buona parte della cifra versata da Ferrini (4.000 euro) non restava in comune? Per motivi di sicurezza - affermava il Pinzuti - che data l'assenza di una cassaforte in Biscotteria, aveva stimato che i contanti sarebbero stati più al sicuro nella sua borsa (!).
L'Ex-segretario generale Portoferraiese, che nella sua deposizione non ha mancato di rammaricarsi del danno di immagine causatogli dall'esposizione mediatica della vicenda, ha poi parlato della restituzione a Ferrini del denaro. Pinzuti affermava che questo secondo passaggio si verificava un mese dopo, presso la sua abitazione, dove l'imprenditore si era recato, e che il denaro era contenuto nella stessa originaria busta.
Par di capire che secondo Pinzuti la "ratio" della restituzione era il fatto che era stata compilata una distinta di pagamento per i soli 290 euro della registrazione ma non quella più corposa dei diritti di segreteria. Diritti che - annotava il funzionario - sarebbero stati mesi dopo quantificati in 4.500 euro dal successivo responsabile del provvedimento. Insomma al di là delle procedure i 5.000 euro richiesti, secondo Pinzuti, corrispondevano ad una valutazione congrua di quanto il Ferrini avrebbe dovuto all'Ente.
Appunto, all'Ente, ma per attendere la conclusione di questa comunque poco edificante storia, e sapere come il Giudice valuterà la vicenda e le procedure quanto meno "bizzarre" in cui si è articolata, occorrerà attendere almeno fino al prossimo 16 Dicembre, giorno in cui è stata fissata la successiva udienza del processo.
Un po' prima, crediamo, dovrebbero pervenire le reazioni (ed eventuali precisazioni e/o smentite) di chi Pinzuti ha tirato in ballo.