Giovedì 11 luglio verso sera la mia vita era perfetta. Sulla spiaggia di Spartaia, Alice, quel giorno 7 anni, aspettava trepidante il momento dei regali, mentre gli altri bimbi, tra cui i miei Ivan e Alina, aspettavano le pizze e la torta. Il sole era ancora più che tiepido ed io e Sara, mia moglie, eravamo in pace in mezzo agli amici di una vita con gli occhi sorridenti e pieni di mare.
Un attimo dopo i miei occhi erano un pozzo vuoto e profondo. Ho stampato in mente l'attimo in cui chinandomi per raccogliere un pallone ho visto il mio braccio destro dondolare come un pendolo. Le parole nella mia testa si tamponavano l'un l'altra perché non trovavano vie d'uscita dalla bocca. Tecnicamente si chiama afasia. Più precisamente afasia espressiva, che vuol dire non riuscire a formulare parole pur mantenendo piena comprensione e volontà di comunicazione.
Faccio un po' il saccente perché sono un medico. Ho 45 anni e mi chiamo Alessandro, abito a Genova e sono Sampdoriano. Ci tengo a dirlo perché fa parte della mia identità ed anche perché in pronto soccorso cercavo di occupare la mente e ad emettere dei suoni cantando mentalmente le canzoni della mia Samp. Forse non sono tanto normale ma nello sgomento si fanno cose inaspettate. Non mi vergogno di dire che mentre fissavo il tetto dell'ambulanza e credevo di avere un'emorragia cerebrale, speravo di morire piuttosto che diventare una croce per Sara e i miei cari. Invece era un ICTUS ISCHEMICO. Non sono un salutista ma ero e sono una persona definibile in ottima salute. Questo non significa fregarsene dei fattori di rischio e che tutto è solo fato. Ma certo nel mio caso nulla poteva far presagire quel che è accaduto.
Tornerò ancora all'isola d'Elba perché per me non è il luogo dove ho avuto la grande sfiga della mia vita ma la più grande fortuna. La fortuna di incontrare persone capaci e competenti. La fortuna di trovare una catena di soccorso e un sistema sanitario pubblico di grande efficienza. È stato a Portoferraio, in un piccolo periferico nosocomio che sono state prese le decisioni giuste con assoluta rapidità mentre i minuti scarseggiavano e con estrema competenza mentre i polsi potevano tremare. Quando sono sceso dall'elisoccorso sul tetto dell'Ospedale di Livorno e un paio di infermieri mi sono venuti a prendere inconsciamente ho detto loro "salve". È stata la nuova prima parola. Ero affogato in un abisso di silenzio e adesso stavo riemergendo. Ironicamente persone care quella notte, saputa la notizia, mi hanno scritto che mi erano vicine ed erano senza parole. A loro ho risposto che quelle effettivamente mancavano parecchio anche a me.
Ero tornato me stesso e un po' alla volta, nel giro di qualche ora, l'ho potuto pienamente esprimere a voce a Sara, ai miei bimbi, ai miei amici, ai miei genitori e a tutti. Mi è rimasta una traccia umana solcata nel profondo fatta di visi che mi incoraggiavano, sostenevano e facevano il tifo per me, in pronto soccorso a Portoferraio e in OBI all'Ospedale di Livorno. Con estrema gratitudine e riconoscenza a tutti gli operatori sanitari che ho incontrato nella mia avventura.
Alessandro Zaccaria
NOTA: il paziente ha seguito il percorso "telestroke isola d'Elba" con angiotac vasi cerebroafferenti extra-intracranici e trombolisi endovenosa precoce.
Ieri, a 20 giorni dall'evento, Alessandro è tornato al lavoro senza nessun reliquato.
I sanitari dell'USL-Toscana-NordOvest.