Ieri, 25 aprile, il silenzio del lockdown che sembra avvolgere l’intero paese in una coltre spessa di protezione, a Cavoli è rotto dal frastuono assordante di ruspe e mezzi meccanici che si accaniscono senza pietà su una delle spiagge più belle dell’Elba e forse dell’intera penisola.
L’immagine della sabbia e delle piante selvatiche stritolate nei cingoli delle ruspe è straziante come un grido disperato che resta inascoltato.
Una draga in mezzo al golfo pompa senza sosta acqua e fango dal fondo piagando l’azzurro del mare di larghe macchie torbide. Un intero ecosistema, marino e terrestre, che a fatica si ricostituisce dopo la stagione estiva e rinasce al sole della primavera spargendo nell’aria i suoi profumi è distrutto con una violenza inaudita.
Questo il prezzo dovuto al ripascimento che, se va bene, per la prossima stagione assicurerà qualche metro di spiaggia calpestabile, e commercialmente usufruibile, in più.
Poi il mare farà il suo dovere e un po’ alla volta, mareggiata dopo mareggiata, si riprenderà il suo, così com’è nell’ordine della natura.
Gli apporti che dovrebbero naturalmente arrivare a monte della spiaggia sono stati sbarrati da muri in cemento armato e costruzioni, per cui si scava in mare. Smuovere il fondo però non crea solo un danno momentaneo alla fauna e flora marina, altera profondamente un equilibrio che impiega molto tempo a ripristinarsi completamente.
Dopo l’ultimo ripascimento sono passati anni prima che l’acqua di Cavoli tornasse alle sue cristalline trasparenze.
Mi chiedo se siano stati valutati attentamente i danni ambientali di questa operazione e se davvero ne valesse la pena di fronte a un risultato modesto e non duraturo.
ML