Essendo più vicino ai 60 che ai 50, ormai dovrei farmi una ragione del fatto che a questa età purtroppo capita spesso di vedere degli amici che ci lasciano, che i tempi sono cambiati, che questi nuovi sono quelli del mordi, fuggi, del mettiti in mostra, del produci, del non pensare, del non contestare, del non voltarti e del non guardare troppo in avanti.
Io invece, questa ragione non me la faccio semplicemente perché credo che questi cambiamenti non siano genuini e dettati da una legge evoluzionistica, ma che ci siano stati imposti da un sistema prepotente e non nostro che ci ha ordinato di scimmiottarlo.
Soprattutto non me non me la faccio quando se ne vanno amici che mi hanno accompagnato in una fase relativamente lunga ed importante della mia vita.
Conobbi Vito del ceppo dei cosiddetti “Ginocchini” della numerosissima famiglia dei Marinari nel lontano 1999, quando entrai a lavorare come bagnino stagionale all’Hotel Airone di Portoferraio, dopo aver lasciato Siena, mia moglie sposata da pochi mesi e il mio lavoro di aiuto cuoco in un ristorante della città del Palio.
Anche se ero tornato nella mia Portoferraio, la cui vista oltretutto potevo godermi ogni giorno dalla spiaggia e dalle piscine dell’hotel, quella numerosa piramide organizzativa fatta all’epoca dal gestore, dal direttore (il leggendario Bruno Paternò RIP), dal vicedirettore, da un supervisore e da tutti noi operai, mi lascio’ spaesato e sotto osservazione per un po’ di tempo.
C’era però Vito, il manutentore per antonomasia, colui che anni prima aveva inaugurato l’hotel perché era stato scelto direttamente da Angiolino Bolano, il proprietario e l’imprenditore per eccellenza, colui che per certi fatti aveva naso e l’occchio più lungo. Fatto sta che io ora dovevo superare il mio periodo di prova e di osservazione,ma potevo contare sull’aiuto di Vito, un vero portoferraiese, semplice con tutti i pregi e i difetti che questa condizione porta con se: diffidente nei confronti del potere, non apertissimo con tutti, geloso dei segreti della sua arte, allergico ai comandi, oltre che per il fatto di essere un isolano intimamente ribelle, anche perché perfettamente consapevole che un manutentore di una grande struttura non può contemporaneamente dare retta a tutti.
Vito, se non conoscevi bene lui e le priorità che dava nell‘organizzazione del suo lavoro, ti poteva erroneamente apparire anche svogliato o addirittura incompetente, ma quando meno te l’aspettavi, magari dopo qualche giorno che tu gli avevi segnalato quel problema (che lui aveva già notato prima di te) apparentemente irrisolvibile, ecco che all‘improvviso e quasi per miracolo, te lo ritrovavi risolto.
E poi le nostre cene, i nostri bracieri invernali, specialmente per scambiarsi gli auguri di Natale, le nostre battute sarcastiche, da veri portoferaiesi, sui potenti e all‘occorrenza, anche qualche calcio a qualche bidone vuoto,magari di latta che fa più rumore, accompagnato dal nostro tipico grido di battaglia: “... ma te lo vai no!”
Ecco Vito,stamani per esorcizzare la notizia della tua scomparsa che Riccardo mi aveva appena dato, ho preso a calci un bidone vuoto di plastica e ho urlato: “... ma te lo vai no!”
Ciao Vito tvb, Franca e le tu' figliole le ho già salutate oggi, ma le riabbraccio da qui!
Michel Donati