“Eppure doveva essere qui, ne sono certo!”. Il vecchio prof. cerca di celare lo smarrimento di fronte alla sua classe di giovani esploratori. Accompagnare i ragazzi in un'uscita didattica su un sito archeologico e non riuscire a localizzare il sito medesimo, non sta bene. Si potrebbe cambiare al volo il nome della gita: da “alla scoperta della pieve romanica” a “Grassera: pédici e oblio.”
La chiesa non c'è, il paese è stato distrutto, il pirata Barbarossa ("nome d'arte" meno poetico di quello vero: Kair Ed Din - Luce del Deserto) riposa ormai da 500 anni sottoterra. Qui non furono, non qui, non ora e neppure allora, nel 1534.
“Ragazzi, scusate, ci siamo persi”, avrebbe potuto dire il vecchio prof. in un fine carriera non troppo glorioso, ma comunque sincero.
D'altronde il tempo ci tenta ogni volta e ci sfida in classificazioni teoriche ardite: modo Indicativo, tempo Imperfetto. “Scusate, ma l'imperfezione del tempo ha fatto sì che la memoria sia stata cancellata in modo definitivo.” Avrebbe potuto dire altrimenti, magari decidendo di salvarsi in corner con una improvvisata “supercazzola” spazio-temporale.
“Eppure è qui”. Invece il vecchio prof. decide di infrangere tutti i divieti di accesso, ben visibili dalla strada provinciale, e si infila impavido tra i rovi impietosi. Ne esce poco dopo trionfante. “L'ho trovata, venite!”. Il prezzo da pagare non è stato elevato, qualche graffio e un modesto capitale di zecche da togliersi sui pantaloni.
I ragazzi lo seguono, arrancano, si spingono. Poi si fermano e osservano: dai rovi indifferenti, spuntano le mura perimetrali della chiesina romanica dedicata al culto di S. Quirico. Proprio lei, quella che in una notte notte d'agosto del 1534 vide l'assalto del Barbarossa, e la distruzione di tutto l'antico comune di Grassera, tra il Cavo e Rio nell'Elba.
L'ostinazione del prof. e l'arrendevolezza di una stradina privata e sterrata che non ha fermato la marcia di quaranta adolescenti, hanno fatto sì che quella vicenda lontana divenisse una storia contemporanea.
I ragazzi fotografano, misurano, contestualizzano. Una volta tornati in classe, propongono un progetto di recupero per l'amministrazione. Inventano ed evocano le storie di quella notte d'agosto: “Faceva caldo e non riuscivo a dormire, la luna illuminava il mare, quando sentii dalla valle il rumore di uomini e armi....” scrive Serena di seconda A.
E' quasi inutile spiegare i verbi e dare gli esercizi sul libro. Il modo e il tempo si capiscono sui luoghi. Grassera: condizionale passato, tempo perduto. Troppo perduto. “Per questo siamo qui ragazzi, per capire meglio il presente, per fare l'analisi logica di quei muri così carichi di storie.”
“Babbo mi svegliò e mi disse, prendi il fratellino e scappa in chiesa...ma io avevo così paura che corsi verso Rio....poi in chiesa morirono tutti”, scrive Matteo.
Il 2 giugno ero con dei cari amici, venuti da fuori, sul Forte Falcone restaurato. Lo stupore per l'incredibile panorama ci rendeva muti e solidali con gli altri rarissimi visitatori. Eppure in porto c'era una nave da crociera da migliaia di turisti. Di quelle con cinque alberi e le vele computerizzate. Portoferraio dimenticata. Le fortezze ignorate.
Ci vorrebbe Serena di seconda A, col suo adorabile piglio da signorina perfettina e prima della classe: “Cosimo de' Medici fece sapere in tutto il Granducato, ma anche oltre, che a Cosmopoli gli abitanti erano così colti e raffinati che parlavano latino tra di loro...e che quella città era così ben progettata da considerarsi la città ideale...”. Modo: suggestivo, tempo: futuro anteriore. Il tempo in cui gli abitanti dell'isola capiranno davvero che investire in scuola, cultura, cura del territorio e comunicazione efficace è meglio che cementificare le dune. Cinquecento anni dopo gli attacchi dei pirati, sarebbe anche il tempo di comprendere che trascurare il passato è l'equivalente moderno delle razzie saracene. Se fossi stata una crocerista e non avessi visitato quella bellezza assoluta, mi sarei sentita depredata. Scorrerie e saccheggi del terzo millennio. Barbarossa devasta ancora.