Medaglia d'onore anche a Armando Bacigalupi, alla sua memoria, quale tenace oppositore del nazifascismo. Ne va fiero il figlio Manrico, noto direttore della filarmonica Pietri che narra l'evento avvenuto durante le recenti celebrazioni dei 68 anni della Repubblica. "A Livorno, durante la celebrazione della festa della Repubblica, alla presenza del Prefetto nonché autorità civili e militari, mi è stata consegnata, dal nostro sindaco Mario Ferrari, la "Medaglia d'Onore" concessa dal Presidente della Repubblica a mio padre Armando, quale " prigioniero di guerra internato nei lager nazisti come lavoratore coatto".
Bacigalupi ha quindi vissuto un momento commovente e di alta intensità umana, unitamente a tutti i convenuti. "Dopo settant'anni è stato dato a mio padre quel giusto riconoscimento - prosegue il musicista - per le sofferenze patite in qui lager ma che mai hanno fiaccato la determinazione di resistere, per la sua famiglia e la sua Patria. Un orgoglio per me, mia sorella e la mia famiglia. Orgogliosi e fieri di essere i figli di un uomo per bene". E di grande valore aggiungiamo noi.
Armando fu nel campo di lavoro del lager di Fameln a circa 200 Km da Berlino. "L'8 settembre del 43' , - prosegue Bacigalupi- mio padre si trovava a Venezia nella Regia Banda della Marina, quale musicante effettivo, ed alla fine del concerto in Piazza S.Marco, alla presenza tra l'altro di soldati tedeschi, venne arrestato assieme ai suoi compagni e da quel momento iniziò il suo calvario. Fu subito internato nel campo di concentramento come lavoratore coatto e c'è da immaginare in quali condizioni fisiche e morali dovesse vivere lui e così tutti gli altri. Un giorno mia madre fu avvicinata dal locale "podestà" che le fece notare quanto". Avesse sbagliato suo marito nel preferire la detenzione in un lager anziché aderire alla costituenda repubblica di Salò". Mia madre gli rispose che " Se mio marito aveva scelto di rimanere in Germania aveva le sue buone ragioni, tanto a casa doveva tornare, ne sono estremamente sicura!". E infatti, in una bellissima mattina del luglio del '45, vedemmo arrivare quest'uomo con lo zaino in spalla, divisa coloniale ed il berretto in mano. Era magrissimo. Io avevo tre anni ma di quel momento ho un ricordo vivissimo. Un incontro dove l'amore diceva tutto, la liberazione di un incubo, ma già il fisico era minato. Le percosse subite gli causarono un tumore al cervello che lo vide ancora combattere per altri dieci anni, ma alla seconda operazione, nel 55', il buon Dio se lo prese con sé. Questa in sintesi è la storia di un uomo semplice, dolcissimo, amante dell'arte, della musica ed un ottimo trombettista. Questo riconoscimento, ora, se pur modesto, assume per me e mia sorella un significato profondo e ci rende veramente orgogliosi e fieri di essere figli di un grande uomo".