Da un paio di mesi, Napoleone si gira e rigira nella tomba del suo Mausoleo parigino des Gran Invalides, morendo dalla voglia di tornare all’Elba. Mai e poi mai avrebbe immaginato che, dimenticato per 2 secoli, gli avrebbero dedicato ben 10 mesi di festeggiamenti. Ma anche gli avi delle nuove generazioni di elbani si agitano nel loro eterno riposo. Vorrebbero ricordare ai pronipoti che non sono stati mai idilliaci i loro rapporti con il corso.
Probabilmente qualche sincero entusiasmo ha suscitato quel periodo straordinario fra il maggio 1814 e il febbraio 1815, che oscurò la secolare ignavia dei dominatori dell’isola. Però, la storia non ignora che non fu amore a prima vista con l’esiliato quando arrivò nella rada di Portoferraio a bordo della fregata inglese Undaunted. Lo accolsero a cannonate al punto che fece levare la bandiera bianca per evitare il peggio.
Allorché si seppe della capitolazione di Parigi e del ritorno dei Borboni, all’Elba calpestarono la bandiera tricolore francese e a Marciana bruciarono un fantoccio del Tiranno. Pure negli anni della sua trionfale conquista dell’Italia, all’isola prese sonori schiaffoni. Riportò brutte figure in serie per la rivolta di quattro contadini di Poggio, Marciana e Campo. Fra il giugno e il luglio 1799, con l’unico vantaggio della conoscenza del territorio, accerchiarono da tutte le parti il borioso nemico, lo bastonarono e lo costrinsero a una precipitosa fuga via mare da Procchio. Due anni più tardi, Portoferraio resistette all’assedio navale francese per oltre un anno, dal maggio 1801 al giugno 1802, cedendo solo al trattato di Amiens sulla spartizione dell’Europa. Le stranezze del destino e le contraddizioni della storia sono cementate nel Santuario della Madonna del Monte, dove di fronte alla lapide in ricordo dell’incontro con la Waleska una targa esalta le eroiche gesta dei suoi nemici del 1799.
Allora all’Elba non erano di memoria corta, anche se il suo proverbiale senso degli affari e il suo iperattivismo parvero addolcire il brusco spirito locale, dal popolino carezzato e coccolato ai nobili accolti nella sua corte generosa di onorificenze e di epiche feste salottiere.
Eppure già in quei giorni la sua salute di 45enne era cagionevole. Afflitto da una discreta pinguedine e parecchio imbolsito (lontano da ogni sguardo le sue immersioni alla spiaggia Le Viste), soffriva di una fastidiosa ritenzione urinaria che riusciva a ridurre soddisfacendo i suoi bisognini grazie alla scoperta delle diuretiche acque di Poggio.
Una volta partito per il suo dramma finale di Waterloo, cambiò di nuovo la musica. Da allora, due secoli di storia registrano goffi tentativi di cancellarne la memoria dalle pagine isolane. Immemori e ingrati oppure ben memori dei lutti e dolori sofferti negli anni prima del governatorato imperiale (fra l’altro, la strage di popolani a Capoliveri come ritorsione per una sconfitta militare); e adirati del continuo saccheggio di tesori e di risorse a cominciare dai latrocini delle casse nelle miniere di ferro.
Testimonianza della contestazione sono ancora oggi le prove di un' inverosimile dimenticanza: in nessun angolo dell’Elba sorgono statue equestri o pedestri, ne si leggono tavole o targhe commemorative delle eredità suo regno ad eccezione di due colme di malizia. Quella irridente di una trattoria di Procchio: “Qui Napoleone non ha mangiato mai!”. E quella sfottente di Lacona, dove fallì nel ridicolo il tentativo dell’imperatore di domare un aratro trainato dai buoi.
Per la verità, all’indomani dell’illustre morte, Portoferraio costituì uno speciale comitato con l’incarico di realizzare un monumento nella piazza d’Armi, oggi piazza della Repubblica. Dopo 30 anni di vuote digressioni, di insolenze e di pettegolezzi sul conto dell’Eroe si decise di non decidere e di lasciare cadere l’impresa nel nulla di fatto.
Oggi un’operazione di marketing, pagata loro malgrado dai turisti con la tassa di sbarco, rivendica in ogni pietra l’amore per l’imperatore elbano.