Era il 1998 quando lessi su un quotidiano una bella recensione di In Asia, un libro di Tiziano Terzani che scalava inaspettatamente le classifiche dei saggi più letti. Mi convinse facilmente a leggere un autore che conoscevo da anni come giornalista, ma non come scrittore. Quando arrivai in libreria intenzionato a comprare quel libro, trovai sugli stessi scaffali, a un prezzo decisamente inferiore, l’edizione economica di Un indovino mi disse. La lettura delle due quarte di copertina, insieme alla differenza di prezzo, mi convinse a partire dal secondo. Ne fui semplicemente conquistato. L’Indovino divenne subito una delle mie letture e dei miei regali preferiti agli amici.
Quattro anni dopo Massimo Loche, vicedirettore di Rainews, mi chiese con una certa timidezza di programmare tra le mie interviste quella a “un mio caro amico”. Mentre ancora trattenevo una reazione di fastidio, mi disse chi era: Tiziano Terzani. Fu il più bel regalo che potessi ricevere. Qualche giorno dopo, era il febbraio del 2002, bussai con emozione alla porta della sua casa di Firenze. Con un sorriso solare Tiziano chiese a me e all’operatore Licio Fatucchi: “Non ci avrete mica il foco al culo” e, traducendo dal fiorentino: “Non andate di fretta, vero?” “No, abbiamo tutto il giorno.” “Finalmente qualcuno che non va di corsa.” Poche parole essenziali, che possono racchiudere il suo senso della vita.
Cominciò quel giorno, con sette ore di dialogo intenso per realizzare dodici minuti di servizio, una delle relazioni che più mi hanno segnato negli ultimi anni. Mi dedicò la vecchia e preziosa copia dell’Indovino con “A Luciano, amico nuovo amico vecchio sulla strada”. L’intervista che andò in onda su Rainews (si trova ancora nella ricca pagina di Incontri dedicata a lui) rispecchiava la straordinaria personalità del personaggio. Non ci perdemmo di vista fino a quando un giorno mi invitò a Firenze per salutarmi con un “Non ci vedremo più” di cui sento ancora l’eco dolorosa. Stava per ritirarsi all’Orsigna per dettare al figlio Folco le sue memorie e riflessioni sulla vita, sua e di tutti. Il 28 luglio del 2004 “lasciò il suo corpo”, secondo la formula che lui preferiva rispetto ad altre espressioni.
A dicembre Angela e Folco mi offrirono la possibilità di ascoltare le quaranta ore di registrazione del dialogo padre-figlio che avrebbero portato al libro “La fine è il mio inizio”. “Usale come meglio credi” mi dissero. Era un peso che non mi sentivo di affrontare da solo; coinvolsi un amico fraterno, Paolo Aleotti, proponemmo un documentario a Raitre e Rainews24. Per sei mesi Paolo e io abbiamo vissuto ascoltando e riascoltando la voce di Tiziano, leggendo e rileggendo le sue parole, scegliendo tra centinaia di immagini le foto e le sequenze più adatte a ricavarne un documentario di poco meno di un’ora: “Tutti i colori di una vita: Tiziano Terzani si racconta”.Cercare-Terzani
Non usammo una sola parola delle nostre: la voce-guida più adatta a raccontare la sua vita non poteva essere che la sua, intrecciata qui e là con quelle della moglie Angela e dei figli Folco e Saskia. Lavorare a quel filmato è stato come vivere sei mesi intensi con lui, con il suo modo di vedere, di pensare, di guardare il mondo. E’ stato come consolidare una conoscenza e un’amicizia.
Nei giorni scorsi ho lavorato, su invito di Luca Nicolini, presidente del Festivaletteratura di Mantova, sulle cassette d’archivio con la registrazione del suo ultimo incontro pubblico, a settembre 2002. La sua voce, i suoi argomenti, la sua passione sono ancora vivi e attuali. E si capisce, ascoltandolo, perché preferisse dire che avrebbe semplicemente “lasciato il suo corpo”, come accadde dieci anni fa.