(Dal Monitore d’ Etruria del … )
PORTOFERRAIO ( Dal Nostro inviato) – Come riportato in numerosi fogli di informazione italiani ed esteri, lunedì 31 ottobre, è giunta da Napoli, dove aveva trascorse l’estate presso la corte del cognato Gioacchino Murat, la principessa Paolina Bonaparte Borghese. E’ arrivata con ” L’ Incostant ”, scortato da un vascello napoletano, per paura di qualche attacco piratesco. Evidentemente, nonostante gli sbandierati atti di rispetto e “ ossequio”alla bandiera con le tre api diffusi dalla propaganda bonapartista, incombono ancora i timori sui navigli barbareschi. Si dice che il convoglio abbia fatto tappa a Civitavecchia per prendere delle missive del “ camaleontico”Cardinale Fesch - fratello uterino della madre di Napoleone-, dirette alla sorella ed al nipote.
La frizzante e chiaccherata sorella dell’Imperatore ha indubbiamente portato una ventata di mondana allegria nel notabilato bonapartista dell’Isola. Sicuramente ha sollevato Napoleone dai ricordi delle tragiche giornate di Lipsia, dalle quali è passato poco più di un anno. Sotto le mura della cittadina sassone finirono i suoi giorni di gloria e si aprì la strada che , in un rapido succedersi di avvenimenti, lo ha condotto, sette mesi fa, all’Elba. Ha conservato il titolo di Imperatore : Imperatore di un “Regno da operetta“, come lo descrivono le numerose caricature e libelli, in particolare inglesi e prussiani, che sempre più frequentante giungono all’Elba. Libelli che diffondono nel popolo le condivisibili accuse di “ cesarismo” , di cui ebbe a scrivere pochi mesi fa il collega giornalista- politico, Francois de Chateaubriand nel suo pamphelet : Di Buonaparte e dei Borboni. Comunque - che il “Regno da operetta” sia l’opera di un Napoleone sconfitto, ormai rassegnato a passare i suoi giorni relegato in questa Isola, o la lucida strategia per tranquillizzare le cancellerie della Santa Alleanza, di un Napoleone guerriero che si prepara a scendere nuovamente in campo-, i costi fra il mantenimento di un esercito di oltre un migliaio di soldati, l’allestimento delle residenze imperiali, le feste e le cerimonie, sono divenuti così gravosi per le vuote casse imperiali, che è stato tassato anche il popolo minuto, diffondendo malcontento fra i minatori e gli agricoltori.
Non a caso lo scorso 19 novembre vi è stata una dura sollevazione del popolo di Capoliveri ed anche forti proteste da parte dei minatoti di Rio , che non dimenticano di essere stati pagati per il loro duro lavoro con grano avariato rifiutato dai soldati . A Capoliveri, che conta un popolo attorno ai mille individui, è stato necessario l’intervento, di oltre duecento “ grognards” del Battaglione Cacciatori, gendarmi e lancieri polacchi, e la minaccia di cannoneggiare il paese, per ottenere il pagamento delle tasse . Le truppe hanno bastonato gli uomini rimasti nelle case, fracassato botti, razziato polli, e si dice che solo l’intercessione di una ragazza, da tutti chiamata “ La Vantina”, ha evitato i lutti e le distruzioni che Capoliveri aveva vissuto durante la rappresaglia francese del ‘99.
La notizia ha creato molto malumore nell’Isola e il vostro cronista è andato di persona a Capoliveri per raccogliere informazioni ed opinioni sugli accadimenti del 19 u.s. Sono salito al paese, che sicuramente è uno dei più antichi centri abitati dell’ isola- come testimoniano numerosi e antichi resti che di tanto in tanto si scoprono nel suo territorio-, lasciando il basso piano pantanoso di Mola all’altezza di Case Aiali, dove si dice sbarcò il Papa Gregorio XI nel suo tempestoso viaggio di ritorno da Avignone a Roma nel 1376. Salì a pregare nella piccola chiesa romanica di San Michele che si erge sulle primi pendici della montuosa Penisola di Calamita. Oggi le case di Aiali sono ad un paio di chilometri dal mare di Longone. Le ghiaie e le sabbie hanno riempito il piano facendo arretrare il mare, nonostante che in generale - come si hanno riprove in numerosi seni dell’Elba , compreso quello che si trova alla fine del grande “ canyon” del suggestivo Santuario della Madonna delle Grazie- , almeno dai tempi in cui si formarono i sedimenti dove spesso troviamo antichi strumenti di pietre lavorate, vi sia una generale tendenza all’innalzamento marino. Difficile e rischioso esercizio prevedere come si muovono le linee di costa, e come scompaiono e si formano le spiagge.
Il paese di Capoliveri sta su di un colle isolato che domina un ampio tratto dell’Isola, dalla grande Montagna del Capanne ai Monti che sovrastano Rio. In alcuni punti “ si gode una delle più belle viste che si possano immaginare, vedendosi contemporaneamente i golfi di Longone, di Portoferraio, della Stella e d’Acona, i quali sembrano volersi ricongiungere in un punto centrale o da quello partirsi a guisa di raggi”, come ebbi a leggere in un qualche scritto di cui mi sfugge l’autore. Infine giunsi a Capoliveri, costruita sopra una formazione rocciosa arenaceo-calcarea che si trova anche nella Terra di Campo e che è chiamate dal popolo “ macigno”, anche se i geologi dicono che le rocce di Capoloveri sono solo apparentemente uguali al macigno che si cava a Fiesole e con il quale sono stati fatti tanti monumenti del Rinascimento fiorentino. Modesti filoni di porfido magmatico, simili a quelli che si ritrovano a S. Marino e Portoferraio, sono associati alla formazione arenaceo-calcarea.
Ho parlato con il maire e alcuni notabili ; quasi tutti si chiamano Bartolini. Sembra che la misteriosa Vantina sia da identificare, anche se non mancano opinioni discordi, con la giovane Enrichetta, figlia di Vincenzo il potente ciambellano del Bonaparte e proprietario della casa in via Ferandini dove trova dimora la madre dell’ Imperatore. Ma è ragionevole ritenere che in questa occasione, più che l’autorevolezza del padre, sia stata la dolce amicizia di Enrichetta con il generale Drouot, a salvare Capoliveri da morte e distruzione. Squallidi libelli che arrivano dal continente, indicano addirittura la signorina Enrichetta come una delle presunte amanti dello stesso Bonaparte.
Accingendomi nella via del ritorno, ho avuto la gradita ventura di incontrare il Ten. Coll. Giacomo Mellini, in procinto di recarsi nelle aree più meridionali e disabitate della Penisola di Calamita per studiare e campionare le mineralizzazioni che colà si ritrovano. Invitato ad unirmi a Lui, abbiamo seguito la mulattiera che taglia lo scosceso versante occidentale del Monte Calamita, coperto da una fitta macchia mediterranea dalla quale emergono agavi e pittaie. Ripidi valloni conducono a seni e piccole cale segnate da candide spiagge . << I geologi>> ha detto il Coll. Mellini << pensano che le rocce che formano la Penisola di Calamita, chiamate gneiss, siano molto antiche. Le più antiche fra quelli che si trovano all’Elba Sopra gli gneiss, tagliati da numerosi filoncelli di apliti, si trovano placche di marmi e sedimenti in grande parte fatti di duro quarzo>> .
Lasciata a mare la Cala dell’Innamorata e lo Scoglio della Ciarpa- dove, mi ha detto Mellini, ormai da quasi due secoli ogni anno si ricorda il dramma della bella Maria e del suo amore , “rubato” dai turchi-,siamo giunti al pianoro che sovrasta le imponenti scogliere di Punta Calamita. Lo spettacolo è grandioso, il mare si frange contro le rocce nere, verdi, brune, che sfumano e si incrociano con lenti e grandi masse irregolare grigie come il ferro e rossastre come la ruggine, a luoghi segnate da brillanti strie e massicelle verdi-azzurre del colore del vetriolo << Le rocce >> mi ha detto Mellini << sono prevalentemente formate da silicati di ferro, calcio e alluminio. Assomigliano molto a quelle che si trovano alla Torre Appianea della Piaggia di Rio. Vengono chiamate “ skarn”, una parola scandinava ormai entrato nell’uso anche da noi. Le lenti e le masse grigie e rossastre sono in prevalenza formate da magnetite- l’ossido di ferro chimicamente vicino all’oligisto (o ematite) che si trova a Rio e Terranera- e dagli idrossidi che si generano dalla sua alterazione all’aria e all’acqua. Anche le strie verdi-azzurre e le masserelle di vetriolo sono prodotti di alterazione, ma in questo caso di minerali di rame, che si ritrovano talora in piccole quantità”.
Il famoso geografo Arsenne Thièbaut De Berneaud ha visitato queste zone pochi anni fa e nella sua opera “ Voyage a l’Isle d’Elbe” del 1808, ha fra l’altro ricordato l’escursione fatta in questi luoghi dal geologo Dèodat de Dolomieu, celebre per gli studi sulle montagne carbonatiche del Trentino, che, non a caso, in molti stanno iniziando a chiamare Dolomiti. Queste masse mineralizzate >> ha continuato Mellini <<, non sono state utilizzate, fino ad oggi, per estrarre il ferro. Ma il popolo di Capoliveri commercia da molto tempo pezzi di minerali chiamati “calamita nera”, cavati da siti tenuti gelosamente segreti. Vannoccio Biringuccio, scrive nel Cinquecento che la calamita nera è usata da : “i marinari ne lor viaggi per ritornare la bussola scossa…et è materia minerale anchor che non si fonde, et non fondendo non si può dire che contenga metallo“. Inoltre il celebre metallurgista senese aggiunge che a Calamita si trova anche una: “calamita cha color bianco, et che questa è ch’ha proprietà ti tirar la carne, per che è molto potente a facilitare li parti de le donne legandola alla coscia destra de le pregne partorienti”.
Rimanendo nell’incerto campo delle memorie antiche e delle ipotesi, alcuni pensano, ma non vi sono prove al riguardo, che le deboli mineralizzazioni a rame di Calamita, così come quelle di Rio, Pomonte e Colle Reciso, siano state sfruttate nei tempi antichi, prima di conoscere il ferro . Mentre è certo l’utilizzazione del vetriolo e delle Terre ( dette da alcuni ocre) , come mostrato da piccole cave aperte in tempi passati>>
Abbiamo quindi proseguito la mulattiera verso oriente, scendendo non senza fatiche , ad un luogo in riva al mare segnato da grandi scogliere dove nidificano i gabbiani, chiamato Ginevro. Vi è un grande filone di roccia biancastra , chiaramente deriva dal raffreddamento di un magma, che taglia gli gneiss. Al contatto si sviluppano masse mineralizzate a skarn e neri corpi di magnetite, ma gli skarn sono diversi da quelli della Punta di Calamita e di Rio, sono essenzialmente formati da un raro minerale silicato a ferro e sodio. La stessa magnetite del Ginevro si differenzia come morfologia da quella di Punta Calamita, la prima è lamellare che è l’ habitus tipico dell’ oligisto, dal quale forse deriva in seguito ad un forte riscaldamento, la seconda invece è in bei cristalli a forma di cubo, più o meno perfetti, e più o meno compenetrati, che mostrano di essere palesemente “automorfi”>> . A questo punto mi sono sovvenute le parole di Thièbaut de Berneaud : “ Un errore rilevato, un’ opinione saggiamente rilevata, un fatto ben stabilito, tale è il cammino delle scienze;…ogni generazione lo perfeziona in alcuni punti; tutte lo ampliano progressivamente”. Forse dovremo attendere le nuove generazione per chiarire molti fatti incogniti che ancora restano sulla origine di questi fenomeni “.
Beta de La Torre
Aggiornamenti
Sono tanti gli scritti che dai tempi del Monitore d’Etruria, hanno concorso ad ampliare, ma certamente non ad esaurire, le nostre conoscenze sulla geologia, mineralogia, archeologia e storia della Terra di Capoliveri e delle sue miniere. I più recenti punti di riferimento possono essere il volume edito nel 2012 dal Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze e la recente bella pubblicazione di Milliarium , dedicata all’Isola d’ Elba, che sabato prossimo sarà presentata a la Gran Guardia.
Alla caduta di Napoleone, il Congresso di Vienna assegna l’Elba al Granducato di Toscana e il Buongoverno dispone che le risorse minerari dell’Isola, come già avveniva durante i governi napoleonici, siano patrimonio dello Stato, e dello Stato (Toscano ed Italiano: regio e repubblicano) rimarranno fino alle recenti norme che trasferiscono le competenze minerarie dallo Stato alle Regioni. Con la legge sul Federalismo demaniale inoltre, gli Enti territorialihanno la possibilità di acquisirne la proprietà di territori minerari già del demanio statale, quale è il caso delle ex-aree minerarie elbane.
Il 9 settembre del 1819, cinque anni dopo gli avvenimenti narrati dal Monitore, la Magistratura di Longone, competente anche per il territorio di Capoliveri, vende a Luigi Morel ( v. precedenti numeri del Monitore) la tenuta di Calamita. Si apre così un lungo contenzioso amministrativo e giudiziario sui diritti di estrazione delle mineralizzazioni del territorio che si svilupperà fino all’Unità d’Italia. Nel 1854 Teresa Gamba Ghiselli marchesa di Boissy, acquista la tenuta di Capoliveri dal Morel e la nobildonna ravennate, particolarmente nota nelle cronache mondane del tempo per essere stata l’ultima compagna di Lord Byron, continua la vertenza che avrà il suo epilogo quando, il 27 maggio 1862 la Corte di Cassazione sentenzia in forma definitiva i diritti minerari dello Stato sui giacimenti ferriferi di Calamita. Le coltivazioni delle miniere a ferro avranno poi un marcato impulso ad opera di Vincenzo Mellini, figlio di Giacomo, divenuto direttore delle miniere elbane, e "silenziosa fonte di pensiero e d'azione“, come si legge nel bassorilievo di marmo murato all’inizio di via Roma a Capoliveri. La marchesa di Boissy si ritira nella sua villa a Settimello di Firenze , dove il 27 marzo 1873, all’età di settantatre anni, si conclude la sua vita; irrequieta e trasgressiva, ma “ dedicata a difendere fino alla fine la memoria di Lord Byron ed il loro grande amore “, come ci dice la pronipote Signora Agnese, parlando della famosa Zia Teresina.
Dopo la Prima Guerra Mondiale viene aperta la Miniera del Ginevro e poi quella di Sassi Neri, ,fino a quel giorno del 1981 quando “ l’Uomo della Miniera“ chiuse dietro di se il cancello del pozzo del Ginevro”, come scrive Filippo Boreali nel suo prezioso libro di memorie. Negli anni ’70 erano state lentamente chiuse le miniere di Rio, Ortano, Terranera e Calamita. Finiva così la storia estrattiva dei giacimenti a ferro dell’Elba. Una storia che era iniziata quasi tre mila anni prima, quando attorno al IX-VIII sec.A.C, arrivarono in Europa le conoscenze siderurgiche, acquisite alcuni secoli prima dai “ Calibi” del Vicino Oriente.
B.T.