Sta per iniziare l’Expo 2015. Come tutti sappiamo il tema di questa manifestazione mondiale è il Cibo, ma l’intento primo è la lotta alla fame e alla sete che troppe persone soffrono, insomma “il Diritto al cibo”.
Da quando ho saputo che sarebbe stato questo il filo conduttore dell’expo, nella testa mi girano e rigirano pensieri e domande, una fra tutte: “Ma dovevamo aspettare il 2015 per affrontare questo problema? fino ad adesso abbiamo scherzato?” E dico affrontare perché in tutta sincerità non sono mica tanto sicura che si riesca a trovare una soluzione che tolga dal globo terrestre questa vergogna.
Se ogni Stato nazionale all’interno dei propri confini avesse, diciamo negli ultimi venti anni, fatto qualcosina ogni anno, forse un passo in avanti lo avremmo ottenuto.
Altra domanda: “E’ normale parlare di lotta alla fame ed alla povertà concedendo allo stesso tempo alle cosiddette multinazionali del cibo di accaparrarsi le royalties del riso o delle piante autoctone con cui da sempre i popoli adesso in difficoltà si sono nutriti?”
Terza domanda: “E’ normale che per fare spazio alle miniere, ai pozzi di petrolio, o più semplicemente ai grandi allevamenti di bovini ed ovini, si deportino gli abitanti di interi villaggi per confinarli in zone meno ricche di habitat in cui questi poveri cristi fanno una fatica cane a sopravvivere?”
Lo abbiamo fatto con i nativi d’America, e poi con gli aborigeni australiani, ed ancora con i campesinos, con gli indigeni dell’Amazzonia, con gli esquimesi e gli africani, e tanti altri popoli e comunità.
Adesso per esempio gli Indiani d’America, in alcune zone che sono state chiamate riserve ma che a volte sono solo terra desertica in cui non cresce niente, soffrono di diabete con percentuali altissime perché l’unico cibo a cui hanno diritto è il cosiddetto cibo “spazzatura”. Se ad un popolo viene tolto il Diritto al lavoro, alla terra da coltivare, agli animali da allevare, o addirittura si deviano i corsi d’acqua, viene da sé che prima o poi busseranno alle nostre porte chiedendo aiuto oppure protesteranno. Sempre che non venga loro tolto, usando persino le armi, anche il legittimo Diritto di protestare.
E’ importante parlare dei problemi invece di nasconderli sotto il tappeto, è indispensabile non gettare al vento le parole e insieme ad esse l’energia spesa all’interno delle discussioni. Il tempo trascorre ed ogni giorno, ogni giorno la situazione mondiale si aggrava inesorabilmente.
La fame è strettamente dipendente dalle guerre, quelle armate di armi e quelle armate di montagne di soldi da investire, è legata ai cambiamenti climatici, alle epidemie incontrollate, è strettamente legata al lavoro sottopagato e senza diritti, ed alla mancanza stessa di lavoro, alla cementificazione che distrugge ettari di terra fertile e alla cementificazione mascherata da turismo e sviluppo, all’inquinamento dei corsi d’acqua ed allo sfruttamento intensivo dei campi e delle zone di pesca.
E sulla pesca mi faccio un’altra domanda: “Sul pesce che nuota per esempio nel mare della Somalia o in oceano indiano, per ciò che concerne la quantità di pescato, abbiamo più Diritto noi cosiddetti occidentali o i Somali e gli Indiani?
Chi soffre la fame non lo fa per scelta personale, ma è costretto da una situazione altra, da condizioni che per lui hanno deciso altre persone.
Io spero che questo movimento mondiale che il primo di maggio partirà, porti risultati tangibili e duraturi, porti non solo speranze a chi non ne ha quasi più, ma fatti concreti e politiche lungimiranti.
Noi possiamo e dobbiamo scegliere di fermare questa subdola, vigliacca violenza; noi occidentali
non abbiamo nessun Diritto in più degli ALTRI, ma abbiamo il DOVERE non più prorogabile di risolvere i problemi infami che abbiamo provocato.