«La crisi europea dei migranti è un incubo. La crisi climatica lo peggiorerà – scrive sul The World Post Peter Mellgard del Berggruen Institute, un influente “think and action tank” internazionale – Centinaia di migliaia di migranti cercano rifugio in Europa, ma i profughi del riscaldamento climatico sono molti milioni».
E’ probabilmente di questo che si discuterà al Pacific Island Forum, iniziato oggi a Port Moresby, la capitale di Papua Nuova Guinea, donazioni dell’Oceania, Australia e Nuova Zelanda, accusate di mettere a rischio la stessa sopravvivenza di interi piccoli Stati insulari a causa della loro inazione climatica, ma non mancano le critiche alla “gestione” dei profughi con la creazione di due lager australiani a Nauru e in Papua Nuova Guinea. I leader dei piccoli Stati insulari dell’Oceania sono concordi nel dire che Australia e Nuova Zelanda non stanno facendo molto per combattere il cambiamento climatico e che i due governi conservatori disattendono le promesse fatte e ribaltano le politiche climatiche dei precedenti governi laburisti, anche se va detto che il governo australiano si sta dimostrando molto più eco-scettico di quello neozelandese.
In vista della cruciale conferenza delle parti dell’Unfccc di Parigi il leader dei piccoli Stati insulari del Pacifico chiedono che l’aumento della temperatura globale sia mantenuto entro gli 1.5 gradi centigradi, temendo che il target internazionale dei 2° C metta a rischio la sopravvivenza e l’economia di molte piccole isole, aumentando il flusso di profughi ambientali.
Il Pacific Island Forum si tiene a 6 mesi dal ciclone Pam che ha raso al suolo diverse isole di Vanuatu e che ha causato inondazioni e frane a Tuvalu, nelle Kiribati e nelle Isole Marshall. Il Paese ospitante, Papua Nuova Guinea, sta facendo i conti con il problema opposto: la peggiore siccità degli ultimi 20 anni e una potenziale crisi alimentare. Il primo ministro di Papua Nuova Guinea, Peter O’Neill, ha detto le condizioni le condizioni di El Niño sono state esacerbate dagli effetti del cambiamento climatico ed anche le Isole Salomone e Vanuatu sono piegate da un lungo periodo di siccità.
Il primo ministro delle Figi, Frank Bainimarama, ha deciso di non partecipare al summit di Port Moresby, inoltre la scorsa settimana non ha invitato il primo ministro liberaldemocratico australiano, Tony Abbott, a partecipare al Pacific Islands Development Forum, il club alternativo al Pacific Island Forum che esclude l’Australia, la potenza egemone dell’Oceania. Bainimarama ha invitato Abbott ad abbandonare la «coalizione degli egoisti» e a mettere il benessere dei piccoli Stati insulari del Pacifico prima degli interessi dell’industria del carbone.
Il governo conservatore di Abbott, dopo aver abolito la carbon tax approvata dal precedente governo laburista sostenuto dai Verdi, ha annunciato un obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030 del 26-28% rispetto ai livelli del 2005, che è stato criticato per la mancanza di ambizione, Abbott si è difeso dicendo che sono gli stessi obiettivi di Nuova Zelanda e Canada e migliori di quelli del Giappone, proprio quella che i piccoli Stati insulari definiscono coalizione degli egoisti. In realtà l’obiettivo della Nuova Zelanda per il 2030 è quello di tagliare il 30% delle emissioni rispetto ai livelli del 2005.
Comunque il Pacific Island Forum dovrebbe approvare una strategia congiunta di gestione del cambiamento climatico e delle catastrofi per il Pacifico.
Il cambiamento climatico non sarà l’unica fonte di tensione: nel Pacifico cresce l’opposizione alla politica migratoria dell’Australia, che crede di risolvere il problema dei profughi asiatici confinandoli in campi/prigione negli Stati insulari vicini o spedendoli in Stati retti da regimi autoritari come la Cambogia e la Malaysia. La Nuova Zelanda ha sospeso gli aiuti al sistema giudiziario di Nauru perché violerebbe lo stato di diritto sull’isola-nazione, quindi la Nuova Zelanda, dopo le denunce di numerose Ong, dell’Onu e dell’Unicef, prende le distanze da come viene gestito, cioè come un vero e proprio lager, il campo profughi dove l’Australia ha scaricato gran parte dei migranti fermati al largo delle sue coste.
Per chi volesse capire come si trasformerebbe Pianosa,se venisse accolta l’assurda proposta avanzata dal sindaco di Forza Italia di Capoliveri, Ruggero Babetti, e subito rilanciata da alcuni esponenti nazionali del centro-destra, di trasformare l’isola dell’Arcipelago Toscano in un campo profughi, potrebbe andare a farsi un giro a Nauru…
A margine del Pacific Island Forum l’Australia dovrà affrontare con il governo di Papa Nuova Guinea anche il disastro dell’altra isola lager per i profughi, Manus, a cominciare dalla richiesta da parte di Port Moresby di estradare tre australiani ex guardiani nel centro di detenzione di Manus, accusati di stupro, ed altri australiani che lavoravano a Manus che hanno causato un grosso incidente, per non parlare dai continui problemi causati dall’elevato consumo di alcool da parte degli australiani che dovrebbero gestire il campo profughi/lager.
L’Australia, di fronte a questo vergognoso fallimento che sta sporcando la già traballante immagine del governo Abbot in patria e all’estero, dopo aver promesso investimenti ed aiuti in cambio della costruzione del centro di detenzione per i profughi a Manus, dopo aver investito milioni di dollari in questi lager insulari, ora sta premendo su Papua Nuova Guinea perché faccia uscire i profughi da Manus, trovando loro un lavoro e una casa. Siamo all’assurdo: uno dei Paesi più ricchi del mondo si libera dei profughi, li spedisce in un’isola prigione in cambio di denaro e poi chiede ad uno dei Paesi più poveri del mondo di fare quello che l’Australia non ha voluto e saputo fare.