Kaled Asaad. 82 anni. Custode della splendida antica città di Palmira. Non è scappato pur sapendo che andava incontro a morte certa. Decapitato e appeso ad un palo. Come è possibile così tanto orrore di fronte a tanta bellezza? Questo è solo un altro esempio di questo scenario dell’horror che esce dall’immaginario dei film o dei racconti noir per diventare quotidianità. E si sa, non c’è mai fine al peggio. Aylan aveva tre anni ed è stato fotografato, ma sono stati in dodici a morire sullo stesso gommone. Migliaia in fondo al mare, in quel “non luogo” fra la disperazione e la speranza.
La brutalità, la guerra, la morte, la sopraffazione, premono alle nostre porte e risvegliano la nostra paura. Come difenderci da tanto spavento? Si rischia di fare di tutta un’erba un fascio, mettendo sullo stesso piano perseguitati e carnefici: tutti arabi, tutti provenienti dall’altra sponda, tutti “diversi” da noi.
In fondo i migranti sono ambasciatori di conflitti: politici, religiosi, sociali. L’Europa, ben pensante e democratica, ha stemperato negli anni, dimenticando, la brutalità, la guerra, la morte, la sopraffazione ed ha digerito, obtorto collo, i maghrebini a Marsiglia come i cinesi a Prato, come le badanti sudamericane o dell’Est Europa in tutte le città del Bel Paese. Anche all’Isola d’Elba.
Un’Isola che deve tutto al suo mare, ma dove il mare, Mediterraneo e cioè Mare di Mezzo, è stato in passato messaggero di violenze, invasioni e dominazioni. Dove ”forestiero” è anche il turista o chi vive in continente. Dove i limiti non sono solo psicologici ma anche geografici. Dove tutti sono amici e/o nemici di tutti. E gli schieramenti si sprecano. O con me o contro di me. Profughi sì, profughi no. Eppure il problema dei profughi non è un “fatto” personale bensì un fenomeno collettivo che deve essere affrontato non dal singolo, se non da un punto di vista morale, ma dalla collettività che deve trovare regole e consensi, tutelando sia chi accoglie che chi viene accolto.
La tolleranza nasce dal confronto e dall’ascolto, la soluzione ai problemi sociali dalla mediazione e dall’impegno di ognuno. La paura invece, la nostra e quella dei “migranti”, accende gli animi, si trasforma in rabbia, alimenta il rifiuto. Non solo. Crea schieramenti. Xenofobi e spietati da una parte, buonisti e illuminati dall’altra. Umani e disumani. Ci sono i buoni ed i cattivi come in tutte le favole che si rispettano. Ma la realtà che viviamo tutti i giorni non è una novella. I migranti ci sono, i cinesi ci sono, gli arabi ci sono, gli indiani ci sono. E come sono globalizzati i mercati è globale anche il flusso di persone che si muovono da un luogo all’altro. Vi ricordate l’esodo degli ebrei? Da sempre gli uomini si muovono alla ricerca di condizioni migliori. Lo hanno fatto anche gli elbani a cavallo fra l’800 e il ‘900.
Noi europei, noi italiani, noi elbani, non siamo fuori dall’acquario guardando gli stranieri come se fossero pesci esotici. Il Mediterraneo, mare che unisce e che divide, facilitatore di civiltà, cultura e ricchezza, è solo un lago, poco più di un acquario appunto, al confronto dei mari del mondo e delle centinaia di Paesi che vi si affacciano e dei milioni di abitanti che vi abitano.
L’umanità è capace di assuefarsi alle più inaccettabili condizioni, anche al dolore. L’abitudine all’orrore piano piano addormenta le coscienze: si delegano le soluzioni agli altri. A chi ci governa. Ma chi ci governa siamo noi, la maggioranza di noi. Le Istituzioni siamo noi. Il problema è collettivo e deve essere affrontato in maniera collettiva. Non possiamo creare ronde alle frontiere o erigere nuove muraglie. Non è durata né quella cinese né quella di Berlino. Neppure il Vallo di Adriano. Non possiamo vivere nelle nostre oasi dorate con le guardie armate a proteggere i nostri privilegi come in Sud Africa o a Zanzibar. Ma tutti vogliamo essere tutelati e vogliamo che i nostri figli crescano in un ambiente protetto, con condizioni agiate, in pace.
Invece i migranti ci ricordano quanto siano vulnerabili le certezze, il benessere, la nostra stessa vita. Risvegliano paure ataviche e ricordi più recenti di fame e di guerra. Difendiamo le nostre posizioni pensando che non c’è abbastanza cibo per tutti, abbastanza lavoro, abbastanza spazio, con i figli disoccupati da mantenere, i mutui e le tasse da pagare, la famiglia da tutelare, la nostra cultura antica da salvare e tramandare. Per non parlare della droga, delle violenze, del degrado ambientale, dei politici “tutti”corrotti, dell’incertezza del futuro. Troppi cani intorno all’osso. E l’ansia diventa collettiva mentre collettivo dovrebbe essere l’impegno per convivere.
Cominciamo quindi a rispettare le idee degli altri, anche di chi ha il coraggio di dire che non vuole il profugo nel proprio giardino, nel proprio quartiere o nella propria città e di chi invece sente l’urgenza morale di aprire le porte della sua casa. Ascoltiamo Papa Francesco, ma anche i Governatori o i Sindaci del sì e quelli del no. Ascoltiamo le famiglie che telefonano al numero messo a disposizione dalla Regione Toscana per dare accoglienza ma anche chi crede che la presenza di migranti porti al degrado di una meta turistica e metta in crisi la principale fonte di reddito di un paese.
Se ognuno di noi si facesse carico di tenere pulito il marciapiede o l’aiuola di fronte al proprio portone, la qualità delle nostre città e della nostra vita sarebbe migliore. Se un bambino siriano frequentasse l’asilo insieme ai tanti nostri figli lo inviteremmo ai compleanni e ci diventerebbe “familiare”. Ed i ragazzi abituati alle immagini di “Guerre stellari” capirebbero che i Siriani, gli Indiani, i Cinesi, i Peruviani non hanno la criniera come i leoni o i peli di un gorilla spaziale. Quindi, come convivono nella galassia questi strani personaggi, possono convivere nello stesso parco giochi gli Aylan o i Kaled insieme ai Mario nostrani. Il futuro è globale, interstellare.
Il dovere delle Istituzioni è quello di rassicurare i cittadini con precise regole per un’accoglienza diffusa, certamente verificando chi, come e da dove provengono i profughi e se sono profughi, clandestini, scafisti o peggio ancora terroristi. Il dovere delle Istituzioni è quello di non scaricare sulla coscienza dei cittadini la propria incapacità di governare i processi. Il dovere delle Istituzioni è quello di trovare forme di integrazione (lavoro, scuola, sanità) che non siano a svantaggio di chi, italiano o europeo, cerca lavoro o ha bisogno di un tetto per mettere su famiglia.
Come? Stemperando le presenze nelle aree urbanizzate, invece di creare ghetti, punendo chi commette reati ma anche colpendo chi specula sul dolore degli altri come per il terremoto dell’Aquila, puntando ad una vera integrazione dei profughi nel tessuto urbano e sociale di vaste aree. Una sorta di “solidarietà” di vicinato che per prima farebbe da deterrente contro comportamenti antisociali.
Ma l’impegno maggiore dell’Europa e della politica internazionale dovrebbe essere quello di mettere i profughi nelle condizioni di non esserlo più. Aiutiamoli a vivere degnamente nei loro Paesi. Se non fossero disperati non si muoverebbero dalle loro case. Come non ci sarebbe la fuga delle migliori intelligenze italiane se i nostri ragazzi trovassero lavoro nel nostro Paese. Creiamo le condizioni per lo sviluppo di quelle vaste aree di mondo che sono state sfruttate per decenni dagli interessi multinazionali, dove il mercato della guerra fa affari d’oro. L’umanità è in crisi e per uscirne c’è bisogno non di filo spinato ma di nuove forme di solidarietà. Nessuno può salvarsi da solo. E poi, da soli, che vita sarebbe?
Patrizia Lupi