Il Presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, ha detto che «Ad agosto, per la prima volta nella storia del turismo italiano si è registrato un calo di presenze complessive degli alberghi (-1,1%), composto da un -3% di italiani ed un +2,1% di stranieri. L'andamento del turismo alberghiero italiano a luglio ed agosto di quest'anno, rispetto allo stesso periodo del 2011, fa segnare un risultato a due velocità. Luglio ha mostrato una flessione complessiva delle presenze alberghiere pari al 5%, caratterizzata da un -8,9% di italiani ed un +0,2% di stranieri. Il bimestre luglio/agosto ha pertanto segnato un -6% di italiani ed un +1,1% di stranieri». I primi 8 mesi del 2012 (hanno fatto segnare una perdita del 2,6% di presenze alberghiere rispetto al 2011 con gli italiani ad un -5,6% e gli stranieri ad un +1,2%, ed un calo di fatturato di circa il 10% «A causa dei prezzi fermi ormai da 3 anni e di accorte politiche tariffarie difficili da sostenere a lungo- dice Federalberghi - Nei primi 8 mesi del 2012 il settore alberghiero ha perso il 2,6% di occupati, rispetto allo stesso periodo del 2011. Si tratta di un calo generalizzato, con un dettaglio del -2,8% del personale a tempo indeterminato e del -2,5% di quello a tempo determinato».
Gli stessi dati mostrano la metamorfosi del turismo alberghiero italiano, stretto tra la crisi e le "vacanze di vicinanza" e la convenienza dei viaggi all'estero: Tra le regioni che crescono, ci sono la Campania (+2,4%), seguita dalla Sicilia (+0,6%) e dal Veneto (+0,2%). Tengono Emilia Romagna e Trentino Alto Adige, mentre i cali si registrano in Friuli Venezia Giulia (-11,8%), Toscana (-10,6%), Sardegna (-7,1%) e Puglia (-6%), Piemonte (-4,8%), Liguria (-2,9%), Lazio (-2,8%), Lombardia (-0,8%).
Secondo Bocca, «A memoria statistica non si era mai visto un calo così generalizzato e devastante di uno dei settori che potrebbe, se opportunamente supportato, rappresentare il primo volano per la ripresa economica del Paese. "I numeri ci dicono che quasi 6 italiani su 10 rimarranno a casa durante i mesi estivi e quelli che si muoveranno saranno circa 27 milioni tra maggiorenni e minorenni (rispetto ai 33,2 milioni del 2011), pari al 44,7% della popolazione (rispetto al 55% del 2011), con flessioni su: giugno da 8,4 milioni del 2011 a circa 6,6 milioni (-21,5%), luglio da circa 12,5 milioni del 2011 a circa 10,9 milioni (-13%), agosto da circa 21,9 milioni del 2011 a 15,4 milioni (-29,5%), settembre da 5 milioni del 2011 a 3,6 milioni (-27,7%), dati comprensivi di chi ha fatto più di una vacanza. Inoltre, tra tutti coloro che stanno per fare o hanno già fatto le loro vacanze estive, il 76,6% sceglie l'Italia (rispetto al 77,7% del 2011) contribuendo seppur parzialmente a rilasciare ricchezza economica nel proprio Paese e solo il 18,5% (rispetto al 21,4% del 2011) preferisce l'estero».
Il presidente di Federalberghi sottolinea anche il risvolto sociale di questa crisi: «Un'ultima annotazione, riguarda il numero di coloro che non faranno vacanza per motivi economici, che quest'anno si impenna al 51,6% (rispetto al 42,8% del 2011) portando ben 3 italiani su 10 a dichiarare la propria "povertà turistica". "Il segnale, a questo punto, è inequivocabile. La crisi dopo aver falcidiato la classe medio-bassa, adesso sta colpendo il ceto medio che in Italia ha sempre costituito la struttura portante del sistema dei consumi e la situazione ci obbliga a richiedere a Governo e Parlamento lo stato di crisi del settore, unico strumento tecnico-giuridico per mettere in moto, auspichiamo, quella scossa indispensabile per definire mezzi e misure dei quali il turismo non può più fare a meno».
La "scossa" purtroppo ripercorre vecchie proposte ed iniziative politico-consumistiche (venate di nostalgia per i bei tempi andati) che non hanno certo risolto una crisi che sembra di sistema: «Un Ministero del Turismo con portafoglio, la riapertura dei Buoni Vacanza destinati essenzialmente ai meno abbienti, una rivoluzione nella governance del settore con restituzione allo Stato di alcune competenze, un'intelligente ristrutturazione dell'Enit-Agenzia del Turismo, combinati con la revisione ed il riesame di leggi quali quelle che hanno introdotto l'imposta di soggiorno o limitato l'uso del denaro contante potrebbero essere i primi punti all'ordine del giorno che auspichiamo vengano presi in seria considerazione alla riapertura dell'attività parlamentare, se non vogliamo correre il rischio di fallimento e di chiusura di centinaia di imprese ed il conseguente licenziamento di migliaia di lavoratori».
Questi dati, riferiti al turismo più statisticamente e fiscalmente "controllato" e controllabile, quello alberghiero, nascondono una frana molto più grande, quella delle seconde case, e la crisi verticale del turismo balneare, o meglio del turismo solo balneare. Ma anche la stessa sostanziale tenuta delle presenze alberghiere deve fare (guadagni alla mano) i conti con vacanze ormai ridotte al fine settimana, diluite nel tempo, con gli italiani che riscoprono il turismo fuori porta e incrementano il mordi e fuggi del fine settimana al mare.
Probabilmente, quando si potranno forse fare i conti di un settore economico importantissimo, ma che è anche uno dei più grandi produttori di economia in nero (con tassi del 70% in alcune località), si scoprirà che il disastroso via libera all'economia della rendita delle seconde case che hanno infestato le nostre coste e colline è arrivata al capolinea, non lo dicono solo i cartelli affittasi e vendesi che pullulano ignorati nei luoghi di vacanza, ma anche la crisi drammatica (e ignorata in questo disastro nascosto) dei piccoli negozi che stanno chiudendo a centinaia, uccisi dalla crisi, dalla globalizzazione delle merci che ha reso ogni Paese uguale, dalla fine della rendita del cemento e delle privatizzazioni.
Ad esempio, quando e se si tireranno davvero i conti di un turismo italiano sgovernato perché non territorialmente pianificato, ci si renderà conto di cosa ha voluto dire la privatizzazione dei traghetti per le isole e di come l'eternamente disattesa promessa di maggiore concorrenza ed efficienza, miracolosamente portata dagli imprenditori, si è trasformata nell'incubo dei cartelli dei prezzi che cambiano a seconda degli orari e del periodo, nell'incubo del turista spennato e del residente delle isole senza certezze.
E' il vecchio turismo balneare a crollare e i concessionari che tuonano e manifestano contro le regole europee lo fanno sotto ombrelloni sempre più vuoti in spiagge sempre più privatizzate, dove i turisti della domenica fanno lo slalom tra parcheggi a pagamento e concessioni inavvicinabili. Il richiamo e l'invidia per altri turismi, come quello francese, non dicono che in Europa le spiagge in concessione sono un'eccezione, non la norma, e che in Corsica si può arrivare ad un massimo del 20% che però controlla o gestisce direttamente l'ente pubblico, mentre in Italia tra concessionari e "punti blu" a volte è difficile trovare un posto dove mettere l'asciugamano senza pagare un obolo salato per usufruire di un bene pubblico.
Ma la responsabilità della crisi non può certo essere caricata tutta sugli incolpevoli balneari, ai quali la politica ha consentito di costruire la loro attività sul modello del turismo massificato del proletariato diventato classe media che può (poteva) permettersi una sdraio ed un ombrellone e le vacanze da "signori", è crisi di prospettive, della necessità di nuove idee mentre la palla di cemento che ci siamo legati al piede impedisce di muoversi e di ragionare agli amministratori locali che su questa catena hanno costruito le loro fortune. E' probabilmente questo cortocircuito politico, economico e culturale che ci impedisce di uscire dalla prigione della rendita che abbiamo creato in paesi che l'inverno diventano fantasmi popolati di finestre chiuse, dove l'Imu mangia il poco guadagno estivo ed erode l'investimento di una vita, mentre la Guardia di Finanza bussa alle porte delle ville e sale sui panfili in fuga di chi fino ad ora ha navigato sulla crisi non pagando dazio.
In questo deserto di cemento e prospettive gli alberghi sembrano un fortino assediato e chi ci amministra e ci governa non sembra capire che una fase è finita e che il turismo italiano risorgerà solo se punterà sulle bellezze del nostro Paese, se trasformerà davvero il territorio in offerta di ambiente e conoscenza, se supererà la dicotomia tra turismo balneare e di conoscenza, se riscoprirà il territorio non come merce ma come risorsa e la cultura (non la paccottiglia "televisiva" degli spettacoli per turisti), se si adatterà davvero ai nuovi costumi e bisogni, alla nuova obbligatoria frugalità, all'idea che (fortunatamente) gli stranieri ancora hanno di noi: il Paese del buon vivere, dei bei paesaggi, dell'arte e della storia. Quel Paese che ci siamo dimenticati di essere mentre impilavamo mattoni e contavamo i soldi in cassa, credendo che la cuccagna sarebbe durata per sempre.
Umberto Mazzantini da www.greenreport.it