Ho letto l'intervento di Laura Berti, assessore di Portoferraio, sul fallimento del "progetto ri-ciclo" rivolto ai giovani della Città. Comprensibile il rammarico dell'assessore che credeva, e giustamente, al valore sociale del progetto, oltre che per il servizio reso al territorio anche come occasione per un protagonismo giovanile.
Non entro nel merito del progetto e della situazione che ne ha determinato la chiusura.
Desidero solo riflettere più in generale sul tema dei giovani di oggi, grazie anche alla lettura dell'articolo di Ilvo Diamanti (Ragazzi, non tornate!, Repubblica 4 settembre 2017).
Ma ritorno sulle parole di Laura Berti: "Questa amministrazione è dalla parte dei ragazzi, ma è tutto inutile se non siamo noi giovani i primi a essere convinti che la città e l’isola sono nostre. Dobbiamo però essere in grado di prendercele, sfruttando le opportunità che ci vengono offerte". E conclude: "perché Portoferraio possa diventare sempre più vivibile per i ragazzi".
Credo che il problema sia più generale e i tentativi, lodevoli, rischiano di non tener conto del quadro complessivo. Lascio da parte il tema del vuoto di senso (per il quale, peraltro, non è irrilevante quanto segue).
Chiediamoci se il nostro territorio (attenzione, mi riferisco all'Italia e non solo alla nostra isola) sia davvero un luogo per i giovani. E se ci siano le condizioni per coltivare speranze e realizzarle.
Diamanti parla dei giovani italiani, in aumento, che si recano all'estero per costruirsi un futuro dignitoso e adeguato alla propria preparazione (quasi 9 su 10 sono laureati). E dice che i giovani in Italia sono una "specie rara". Declino demografico, invecchiamento della popolazione. Sostiene che "il principale aumento delle disuguaglianze, in Italia, negli ultimi vent’anni, è stato quello fra giovani e anziani". Richiama alcuni indicatori: metà degli iscritti ai sindacati confederali sono pensionati; la maggioranza degli elettori dei partiti di governo (in particolare di centrosinistra) è composta da persone anziane (o "molto adulte"). E afferma: "È difficile immaginare che le politiche sociali possano privilegiare i giovani piuttosto che gli anziani. Tutelare i nuovi lavori e lavoratori piuttosto che i pensionati. E i lavoratori già occupati. Che ambiscono (comprensibilmente) ad andare in pensione prima". Alla luce delle indagini recenti, Diamanti afferma che circa 2 italiani su 3, sostengono che “per i giovani che vogliano fare carriera, l’unica speranza è andarsene”.
E conclude: "Per queste ragioni, i nostri giovani continuano a partire, sempre più numerosi. I nostri (miei) figli, i nostri (miei) studenti. E per queste ragioni è forte la tentazione, da parte mia, di rivolgere loro un invito neppure troppo provocatorio. Ragazzi: non tornate. Restate altrove. Fuori dal nostro, vostro Paese. Almeno fino a quando il nostro, vostro, Paese non si accorgerà di voi. E deciderà di investire sui giovani invece che sugli anziani. Sulla scuola. Sui nuovi lavori. Invece che sulle rendite, sulle pensioni, sui privilegi. Ma finché questo Paese che invecchia continuerà ad aggrapparsi al presente - e al passato. Incapace di guardare al futuro. Al destino dei - propri - giovani. Almeno fino ad allora: ragazzi, non tornate!".
Tutti, anche a livello locale, dobbiamo chiederci come contribuire a creare le condizioni perché quei giovani possano tornare e gli altri non partire o rischiare l'autoesclusione sociale. Invertendo in tal modo quello che sembra un vero e proprio progetto di fallimento sociale. In favore di una società inclusiva e vivibile per tutti.
Nunzio Marotti