40 anni fa veniva riconosciuta legalmente l’obiezione di coscienza al servizio militare. Grazie a tale legge non andavano più in carcere i giovani che, per motivi di coscienza (“contrari all’uso delle armi”), rifiutavano il servizio militare. Fu l’affermazione del primato della coscienza che si tradusse in un servizio civile prestato in ambiti e modi diversi.
L’intervento di un obiettore:
Dieci anni dopo, nel 1982, anch’io ho pubblicamente dichiarato la mia obiezione di coscienza al servizio militare, dettata da convinzioni religiose e politiche. E così svolsi il mio servizio civile alternativo a quello militare in un piccolo paese del meridione d’Italia, all’interno di un progetto della Caritas. Erano anni in cui gli obiettori erano alcune centinaia e operavano in un contesto di equilibrio del terrore (corsa agli armamenti nella guerra fredda). Fu un’esperienza decisamente formativa che rese ancora più forti le mie convinzioni nonviolente e rappresentò per tanti un’occasione di coinvolgimento, di protagonismo giovanile e di concreto servizio sociale.
Fu anche il modo per affermare che il dovere costituzionale di difendere la Patria si può adempiere attraverso un impegno sociale, culturale, educativo. E per molti significava addirittura proporre una diversa idea di difesa della patria, senza armi e senza guerre.
Sabato e domenica scorsi, a Firenze, un convegno ha celebrato questo evento. Due giornate dense di contributi e testimonianze, non solo per ricordare ma anche per guardare al futuro, a percorsi per una difesa civile, non armata, nonviolenta. Il tema del convegno è significativo: “Avrei (ancora) un’obiezione!”. Un titolo che tende a incoraggiare, a far emergere motivi di speranza per un mondo diverso e possibile.
Un anniversario che cade poco dopo l’approvazione da parte del Parlamento della legge che delega al prossimo governo la riforma delle Forze Armate. Nell’attuale situazione di sofferenza economica e sociale per tante famiglie e attività, di riduzione dei servizi sociali, in soli 6 mesi il parlamento ha approvato una legge che garantisce al sistema militare più di 230.000 milioni di euro per i prossimi 12 anni.
Esemplare è l’amaro commento di Flavio Lotti (coordinatore della Tavola della Pace) all’indomani del voto parlamentare: “40 anni fa, il 12 dicembre 1972, il Parlamento approvava la legge che riconosceva il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare e istituiva il servizio civile alternativo. Ieri un altro Parlamento, figlio di una pessima legge elettorale e di una politica peggiore, ha approvato un'altra legge ma di segno opposto. Al posto dell'obiezione (alle armi) c'è l'obbedienza (alla lobby delle armi). Al posto della coscienza (personale) c'è l'incoscienza (collettiva). Al posto del servizio civile c'è il servizio ai generali. Al posto dei valori (della pace, del disarmo, della solidarietà, della condivisione, della partecipazione e dell'educazione) ci sono i dolori provocati da una riforma che taglia 43.000 posti di lavoro per comprare altre bombe e organizzare altre guerre. Non c'era modo peggiore di chiudere questa legislatura.”
Questa legge delega e l’acquisto dei cacciabombardieri F35 rappresentano l’apice di un mondo che non ha futuro.
Così come avveniva al tempo in cui, per difendere l’obiezione di coscienza, si veniva processati (Fabbrini e Gozzini, don Milani, padre Balducci, La Pira), insieme alla denuncia bisogna coltivare la speranza. Lavorando ancora per modificare le decisioni in materia di spesa per armamenti (ricordando anche che nel mondo attuale ci sono 24 Stati che non hanno esercito). Incentivando con coraggio e consapevolezza (come sta facendo il ministro Riccardi) il servizio civile nazionale, il quale, dopo l’abolizione della leva obbligatoria, ha finora coinvolto 300mila giovani in attività di utilità sociale. E coltivando l’ambizione che tale servizio civile diventi opportunità per tutti i giovani italiani, perché ad esso si riconosce una funzione positiva per la coesione sociale, per rafforzare il senso di appartenenza, per formare i giovani ai valori del prendersi cura, della gratuità e della pace, attraverso relazioni di prossimità e di servizio.