Sul “Fatto Quotidiano” dell'8 marzo, un articolo nelle ultime pagine a firma Chiara Daina, “Slot, in questo bar non entrano” mi ha piacevolmente sorpreso.
Per quanto mi riguarda non ho mai messo né una lira prima, né un centesimo dopo in queste invasive macchinette puppasoldi, nelle quali la partita dura più o meno quanto il tempo che ci mette la moneta a scendere nella cassetta di raccolta, per vedere dei rulli girare quasi senza interazione dell'utente.
All'Elba sono pochissimi i bar che non ne hanno almeno una, e credo ognuno di noi avrà, in più di una occasione, visto qualcuno infilarci un euro dopo l'altro, agognando all'illusorio e rumoroso scroscio che decreta una altrettanto illusoria vincita e disegna sulla faccia del giocatore una soddisfazione che gli fa sembrare di essere arrivato in un qualche paradiso.
Molto più spesso, invece, queste “esibizioni” compulsive hanno, come conseguenza, la dissipazione di un sacco di denaro: una vera e propria malattia che porta, più spesso di quanto si pensi, a gettare interi salari o stipendi.
Nell'articolo ho scoperto che esiste un sito internet (www.senzaslot.it) con un azzeccato slogan: “per quelli che pensano che il caffè è più buono se il bar è senza slot!”, la lista dei bar senza macchinette (non ce ne sono segnalati nelle nostre zone!) ed una interessante serie di FAQ (domande e risposte) sull'argomento che invito a leggere.
L'articolo che cito si può trovare anche in Internet, ma in questo caso non segnalo l'indirizzo perchè il mio antivirus, all'entrare sulla pagina, ha rilevato una serie di minacce informatiche (quindi attenzione! aggiornate gli antivirus!). Mi sembra un chiaro segno che questo articolo ha fatto irritare qualcuno che tenta di metterlo a tacere.
La mia soddisfazione è scoprire, ancora una volta, che dietro alla facciata della cultura dominante ci sono piccole realtà che si oppongono attivamente a quella che sembra quasi sempre inevitabile, inattaccabile e “normale” routine quotidiana.
E (direte, ingenuamente!) mi domando: perchè l'informazione su modi “diversi” di comportamento non trova quasi mai spazio, o se lo trova è sempre uno spazio marginale?
Il microcredito, il mercato equo e solidale, Terra Madre, Banca Etica, giusto per citarne alcuni: quanti sanno, al di là di pochi luoghi comuni, cosa significano. Prodotti biologici, prodotti OGM-free, non sono solo mode snob riservate ai capricci dei radical-chic. Anzi, se vissuti in questo modo s e ne smorza la forza dirompente che possono assumere nei confronti del sistema, relegati ad una nicchia che si riassorbe nel sistema stesso, come “Il lupo della steppa” di Herman Hesse.
Credo che una lacuna della sinistra sia stata proprio il trascurare queste esperienze, di fatto assuefacendosi alla cultura di regime, regalando e relegando queste tematiche nelle mani di quelli che poi, con sufficienza e sdegno “bolla” come populisti.
Non sarebbe ora di cominciare a diffondere più informazione su queste esperienze coraggiose? Non me lo aspetto certo dai giornali di regime, me lo aspetto (e lo pretendo) da chi dice di v oler cambiare il mondo: recuperiamo un po' di utopia e di speranza che un mondo diverso sia possibile. Abbiamo bisogno tutti di ritrovare un po' di tensione ideale, e se può venirci da un piccolo bar che aderisce al sito NoSlot o da esperienze “più corpose”, tutto ciò merita più spazio nei canali di infomazione che pretende di essere libera e, contemporaneamente, più attenzione da chi pensa di essere “libero lettore”.