A breve saremo chiamati ad esprimere il nostro parere sul comune unico. Se avranno la maggioranza i si l’Elba si avvierà a diventare un unico comune, nel caso contrario nulla cambierà per il futuro, a meno che, e questo al momento non è prevedibile, non intervenga direttamente lo stato centrale a raggruppare comuni confinanti che non raggiungono un tot minimo di popolazione.
Pur essendo un sostenitore dell’accorpamento ho cercato, partendo dal presupposto che approfondire i pro e i contro delle proprie scelte è in genere salutare, di capire le ragioni di coloro che invece preferirebbero evitarlo. Ascoltate le varie campane, sia del si che del no, non riesco a liberarmi dalla sensazione che vi sia, nelle ragioni che i fautori del si o del no portano a sostegno delle proprie dichiarazioni di voto, una differenza di approccio al problema che si può definire (quasi) esistenziale.
Cerco di spiegarmi meglio.
Coloro che si battono perché il CU diventi realtà adducono ragioni piuttosto concrete, volte da un lato alla unitarietà dell’insieme del territorio e delle attività isolane, dall’altro al superamento dei campanilismi locali che si concretizzano spesso in atteggiamenti concorrenziali, venati di simpatie/antipatie politiche o addirittura personali fra i nostri numerosi primi cittadini, tali da impedire loro di arrivare a visioni condivise, del resto più volte tentate e sempre fallite, sulle strutture, i servizi, i progetti dei quali il territorio necessita (vedi comunità montane, conferenze dei sindaci ecc.).
Costoro, e io fra questi, pensano che una credibile soluzione alla paralizzante, inefficiente e oramai gravemente dannosa frantumazione amministrativa dell’isola non possa venire che da una profonda revisione della situazione attuale (da 8 comuni ad uno soltanto).
Coloro che, al contrario, si schierano sul fronte del no, avendo, a quanto sembra almeno finora, pochi motivi concreti per osteggiare razionalmente l’ipotesi della fusione, tendono a motivare il loro rifiuto con argomentazioni, lo dico senza offesa o pregiudizio, quasi tribali, legate alle proprie tradizioni locali, (che non si vede tuttavia perché dovrebbero andare perdute. Un unico comune non prevede la sostituzione dei costumi locali con altri d’importazione) o paventando le distanze che, nel caso in cui i cittadini non disponessero di telefoni, email certificate o meno, o altri sistemi di comunicazione, dovrebbero essere percorse per incontrare il sindaco e/o l’assessore ecc. (problema risolvibile piuttosto agevolmente facendo andare, con cadenza periodica, gli assessori nei vari municipi).
Sembra di capire che, risultando a tutti difficile sostenere che il sistema attuale degli otto comuni funzioni a dovere, i sostenitori del no ipotizzino che un unico comune sommerebbe nuovi problemi alle attuali carenze.
Un atteggiamento che si potrebbe definire conservatore in senso letterale, finalizzato cioè a conservare lo stato attuale, ancorchè non soddisfacente, visto tuttavia, ora e per sempre, come il meno peggio possibile.
E, in fin dei conti, credo che la partita si giocherà proprio su questi fronti. Da un lato coloro che, con qualche fiducia e speranza in un possibile miglioramento della inceppata macchina amministrativa isolana, si dichiareranno pronti a percorrere la nuova strada del comune unico ritenendo che lo stato attuale non sia più adeguato a gestire il presente e men che meno il futuro, dall’altro coloro che invece vedono non solo nel cambiamento che viene proposto, ma probabilmente in buona parte dei cambiamenti che nel tempo qualsiasi comunità, se vuole progredire, si trova a sperimentare, soltanto pericolosi salti nel buio dai quali non ci si possono aspettare che incubi di durata (addirittura) pluridecennale.
Beppe Contin