Sul quotidiano Avvenire del 12 marzo, l'elbana suor Costanza Galli parla delle cure palliative.
Costanza Galli è medico e dirige l’Unità operativa Cure palliative dell’Azienda Toscana Nord Ovest a Livorno. E' quotidianamente a contatto con malati in fase terminale. Per lei, le cure palliative rappresentano l'antidoto naturale sia all'eutanasia che all'accanimento terapeutico.
Si tratta di cure che mettono al centro la persona e i suoi bisogni (fisici, psicologici e spirituali), alleviando il dolore, stando accanto e sostenendola con una rete di intervento e solidarietà (operatori sanitari, psicologi, assistenti sociali, volontari e, ovviamente, famiglie). Galli, perciò, parla della necessità di "valorizzare un approccio che, non più incentrato sull'onnipotenza della tecnica, metta invece al centro la persona e i suoi bisogni".
E' tutta la comunità civile che deve promuovere la salute e stare accanto a chi soffre. E si chiede: "Quanto le nostre parrocchie stanno accanto a un malato e a un disabile? Quanto la comunità civile? L’ospedale non può essere l’unico impegnato sul campo di battaglia".
Nunzio Marotti
Di seguito il testo integrale dell'articolo (da Avvenire 12 marzo 2020):
COSTANZA GALLI: IL SEGRETO DEL METODO
Un antidoto naturale alle soluzioni estreme. Abbracciando l’uomo
Nella cura e nell'assistenza dei pazienti la tecnica da sola non basta. Ogni persona, infatti, ha bisogno di sostegno, accoglienza e accompagnamento, spiega suor Costanza Galli, direttore dell’Unità operativa complessa aziendale Cure palliative dell’Azienda Toscana Nord Ovest a Livorno. «Le cure palliative in un percorso di malattia grave e sofferenza – spiega – sono un naturale antidoto sia all'eutanasia che all'accanimento terapeutico, mettono al centro la consapevolezza del nostro limite umano e quindi l’esistenza della sofferenza, della difficoltà e della morte, in un mondo in cui si pensa invece che questi elementi non ne debbano più far parte ». È necessario dunque superare il concetto «della rimozione della morte e del limite, con l’accettazione di un percorso di vita che comunque può incontrare scogli, e in certe fasi è difficile e limitato». Le nuove tecnologie e l’individualismo rischiano però di offuscare i veri bisogni. «Dobbiamo rimetterci con i piedi per terra – spiega Galli – e valorizzare un approccio che, non più incentrato sull'onnipotenza della tecnica, metta invece al centro la persona e i suoi bisogni». Stare accanto quindi al paziente nella fase finale della sua vita, evitando non solo il dolore fisico ma anche quello emotivo e psicologico. «Noi ci facciamo carico dei bisogni del corpo e quindi della malattia, ma anche dei bisogni spirituali – non solo religiosi – di ciascuno. Cercando di ascoltare tutte le domande che ognuno di noi ha dentro di sé e che in un ricovero normale, per esempio per una frattura di una gamba, ovviamente non vengono considerati: sembra che la sanità, gli ospedali, il medico, l’operatore debbano solo guarirmi l’organo malato. Noi diamo invece uno sguardo intero alla persona, abbiamo una visione olistica nella cura e nel sostegno alla famiglia. In un’epoca che mette al centro la tecnica e l’individuo, noi cerchiamo invece di creare una rete di sostegno amicale e sociale».
Compito che spetterebbe a tutta la comunità, a cominciare da quella parrocchiale. «Quanto le nostre parrocchie stanno accanto a un malato e a un disabile? Quanto la comunità civile? L’ospedale non può essere l’unico impegnato sul campo di battaglia. Tutti dobbiamo promuovere la salute, stare accanto a chi soffre». (G.Mel.)