Il difficile periodo che stiamo vivendo presenta molte sfide che possono creare vissuti di ansia, paura, rabbia, solitudine e disagio.
Per questo noi psicologi, psicoterapeuti e counselor dell'isola d'Elba abbiamo attivato #elbatiascolto, uno sportello telefonico gratuito di ascolto e sostegno psicologico per chiunque ne avesse bisogno.
L'idea di offrire questo servizio alla comunità è nata grazie alla collaborazione dell'associazione Inperformat con il Forum Giovanile dell'Arcipelago Toscano e con il supporto della cooperativa Altamarea, coinvolgendo i professionisti che operano sul territorio.
Il servizio è attivo tutti i giorni dalle 8.00 alle 19.00 e può essere richiesto in due modalità:
- scrivendo un messaggio al numero whatsapp del Forum 3899435367
- chiamando il numero verde di Altamarea 800 947 307.
Condividiamo con voi una prima riflessione della scrittrice Enrica Tesio sulle varie fasi che stiamo vivendo in questo periodo di emergenza. Riguardano tutti noi e il prenderne consapevolezza può aiutarci a fronteggiarle nel migliore dei modi.
"Prima fase: la negazione (in due tempi).
Arriva la minaccia, ma noi siamo più forti: Milano va avanti, Torino va avanti, l’Italia va avanti… beviamoci su, facciamo l’aperipandemia, scatta il trenino.
E te la pongo e te la pongo e te la pongo te la pongo là, Eh meo amico Covid e via così.
Il primo tempo della negazione dura poco.
Poi si passa alla leggera euforia di fronte alla novità delle restrizioni, chiamata anche #andràtuttobene.
Andrà tutto bene è il nuovo #staisereno, se qualcuno ti dice stai sereno come minimo fai scorte di beni primari e rispolvera il bunker antiatomico indisuso dalla Guerra Fredda. Andrà tutto bene, nei film lo dicono i genitori che nascondono i figlioletti nelle dispense prima di andare a combattere con (alieni, serial killer, nazisti, forze del male) e i figlioletti in dispensa di lì a pochi minuti diventano sempre orfani.
Nella fase #andràtuttobene ci si affaccia al balcone, si canta Azzurro, ci si riscopre comunità.
Seconda fase: la rabbia.
Ci si rende conto che no, tutto andrà a stento, tutto andrà a rilento, ci si rende conto che “tutto” si è fatto lutto.
Arriva la doccia fredda: è vero, madonna se è vero, sono dieci giorni che sto a casa, la gente muore.
Sono arrabbiato perché mi sento anche scemo, per aver sciato quando si poteva (ma si poteva anche sospettare che fosse una minchiata), mi sento scemo per non essermi lavato le mani cantando una canzoncina per un minuto come ho spiegato ai miei figli, per non aver comprato le mascherine quando c’erano e dato degli ipocondriaci ai lungimiranti.
Sono arrabbiato con me stesso, ma per pulirmi la coscienza contrattacco facendo la morale a tutti, quindi scrivo ovunque, per mille e una volta “QUALE PARTE DI STATE A CASA NON AVETE CAPITO??”, sputo ai runner che passano sotto al mio balcone e insulto i padroni dei cani perché si allontanano troppo da casa, ci vuole un guinzaglio per i padroni dei cani al guinzaglio.
È una guerra senza nemico e nelle guerre senza nemico vale il tutti contro tutti.
Terza fase: la contrattazione.
Scende il silenzio.
Nella teoria del lutto la terza fase è quella dove la persona inizia a prendere atto dell’irreversibilità della perdita e a ipotizzare, nell’alternanza di sconforto e speranza, modi e strategie per riprendere il controllo.
È il momento in cui ci si guarda allo specchio e ci si dice “abbiamo spaccato la uallera per anni con la resilienza, eh? Abbiamo voluto la resilienza? E mo’ andiamo a resiliare”.
Ecco io credo che stiamo più o meno qui: tra la rabbia e la contrattazione.
Il problema è che se tutto procede secondo questo schema arriverà il passaggio peggiore: la depressione.
E poi l’accettazione in cui si darà un senso a ciò che è successo e finalmente si ricomincerà.
Ci siamo ammalati tutti, anche quelli rimasti negativi, si è ammalato il sistema, viviamo un lutto diretto o indiretto e stiamo imparando un’idea di coraggio nuova, che non ci ha insegnato nessuno in tv, al cinema, nei libri e nella storia, che non è eroica e non è facile nemmeno da imbellettare.
Il coraggio della pazienza.
La speranza è una lunga pazienza, mi ha detto un giorno (in tempi non sospetti e non infetti) mio padre.
Aveva ragione.
La speranza è una lunga pazienza, l’unica che ci è concessa al momento".