Il mare all’Elba è sempre stato sin dall’antichità parte integrante delle attività degli abitanti dell’isola.
Fonti letterarie (Strabone) dicono che gli isolani andavano a pescare tonni quando l’Elba divenne romana e cambiò nome in Ilva: poi hanno continuato nel corso dei secoli successivi.
Sul litorale davanti all’Elba, vicino ad Orbetello, c’era il Portus Cosanus (odierna Ansedonia) dove si praticava la pescicoltura: vedi foto con ricostruzione delle attività di pescicoltura del Portus Cosanus in epoca romana.
Nel 1884 Emanuele Foresi scrive (“Storia antica e moderna dell’isola d’Elba” Portoferraio. Tipografia Elbana) che la popolazione dell’Elba che si dedica al mare, tra marittimi e pescatori, è pari a 3927 persone: capitani di lungo corso, capitani di cabotaggio, padroni, scrivani, marinari da pescare e traffico, marinari e mozzi, macchinisti di 2° categoria, pescatori all’esetro e in lato mare, calafati e maestri
d’ascia, barcaruoli, pescatori di costa, piloti pratici.
In tutta l’isola si contano 251 bastimenti da trasporto della capacità in tutto di tonnellate 15806 (brigantini, golette, tartane, navicelli, bilancelle, cutter, barche da traffico).
Nel 1923 Sandro Foresi scrive testualmente “Il prodotto della pesca, fatta eccezione di quella del tonno, delle sardelle e delle acciughe, viene tutto assorbito dal consumo locale. Le tonnare dell’Enfola e del Bagno di Marciana, che oggi sono passate di proprietà della Ditta Robertson-Damiani, nell’epoca di pesca, in maggio-giugno, danno in genere risultati ottimi per la grande quantità di tonno pescato, che viene in parte posto direttamente a disposizione locale, in parte spedito in continente, in parte salato ed in piccola quantità racchiuso in scatole e conservato sott’olio. Quest’ultimo è riconosciuto in commercio come il miglior tonno per l’accurata lavorazione, per l’olio impiegato e soprattutto per la scelta dei tonni più giovani e quindi di carne teneressima.
La pesca della sardella e dell’acciuga, che si svolge con maggiori risultati a Portolongone ed a Marciana Marina godono di ottima fama per il loro appetitoso profumo” (in pagina 153 ‘L’Elba Illustrata. Guida dell’Elba’. Sandro Foresi. Portoferraio 1923).
Sempre il Foresi si sofferma sulla pesca praticata a Portoferraio e su tutta l’Elba con un libro davvero interessante ed originale intitolato “Pesci, pesca e pescatori nel mare dell’Elba” (Tipografia popolare. Portoferraio 1939) dove nella prefazione scrive che “le notizie che vi offro le ho sentite raccontare dai vecchi pescatori, le ho vissute e controllate… mi furono maestri gli Sghiandini che dei pesci sanno vita, morte e miracoli..”
Nel 1960 Alberto Mori da pagina 152 a pagina 173 nella sua opera “Studi geografici sull’isola d’Elba” si dedica a parlare in dettaglio della pesca sull’isola. Il Mori afferma che intorno al 1950 la flottiglia peschereccia dell’Elba era formata da 364 battelli a remi e a vela (stazzanti 607 tonnellate) 38 motobarche (per 135 t.s.l.) e 4 motopescherecci (per 63 t.s.l.).
Nel 1959 il numero delle barche a remi e a vela si è dimezzato dato che esse sono state usate sempre più come imbarcazioni da diporto, mentre è raddoppiato quelle delle motobarche, quintuplicato quello dei motopescherecci che però sono di piccole dimensioni. Diminuito fortemente è il numero dei pescatori che da 2350 quale era nel 1950, è ridotto nel 1959 ad appena 537 individui di cui poi solo 413 esercitano la pesca come attività principale.
A fronte di ciò il prodotto della pesca è però considerevolmente aumentato sia per quantità complessiva passata da 6152 quintali, di cui 3881 di pesce azzurro nel 1950, a 14126 quintali nel 1959, di cui 8546 di pesce azzurro, sia per le singole qualità di pescato.
Il prof Mori analizza poi la destinazione del pescato “…la destinazione dei prodotti della pesca elbana è varia, essendo essi in quantità relativamente cospicua,possono venire in parte esportati. Si può dire che mediamente i 2/3 della massa globale sono consumati sul posto e un buon terzo è inviato ai mercati continentali più vicini. Piombino e Livorno. Ma la proporzione della parte esportata è varia per le diverse
qualità di pescato: il pesce azzurro, di scarso valore, è in gran parte consumato sul posto, per lo più allo stato fresco, mentre del pesce vario, costituito di specie più pregiate ed anche dei crostacei, i 2/3 circa vengono esportati, per lo più da parte di incettatori e spedizionieri di Marciana Marina ove si raccoglie anche molto del prodotto di Marina di Campo e di Portoferraio stesso. L’esportazione interssa dunque i 2/3 del valore globale dei prodotti ittici per una somma che si aggira sui 200 milioni di lire, di cui però purtroppo solo una piccola parte va ai pescatori“.
Pesce esportato pari ad un valore di duecento milioni di lire del 1960 equivale a duemilioni e centoquindici mila euro (da tabella di conversione con coefficiente 20.6220).
Il Mori afferma che l’importante decremento di pescatori avvenuto alla fine degli anni cinquanta non è dovuto solo alla motorizzazione richiedente maggiore disponibilità finanziarie ma anche …” il fatto che più ha influito negli ultimi anni sull’industria della pesca è stato certamente l’affermarsi del turismo nazionale
ed estero che vi fa capo su vasta scala e quindi lo sviluppo rapido ed ingente dell’industria del forestiero in tutti centri marittimi dell’isola. Le conseguenze hanno riguardato innanzitutto la riduzione del numero dei pescatori, molti dei quali hanno potuto indirizzarsi ad altre attività più redditizie..”
Gli ultimi anni cui Mori si riferisce, sono gli anni cinquanta del secolo passato quando molti pescatori divennero albergatori e altri ristoratori, attività che erano più redditizie della pesca.
Si può imparare qualcosa dal nostro passato?
La mia risposta è positiva.
Il mare che oggi è fonte di reddito esclusivamente con le attività connesse al turismo può esserlo ancora come nel passato con attività di allevamento e smercio del pesce, attività del tutto compatibili con l’ambiente e che non sono incompatibili al turismo.
Oggi come nell’antichità queste attività si chiamano pescicoltura, l’itticoltura, acquacoltura e cioè la produzione di organismi acquatici (pesci, crostacei, molluschi) in ambienti confinati e controllati dall’uomo (vivai).
Tali attività sono del tutto assenti all’Elba.
Se la politica programmasse in tal senso, i vivai potrebbero dare una grossa mano alla economia dell’isola creando posti di lavoro per tutto l’anno.
Ciò già accade poco lontano dall’Elba, ad Ansedonia.
Marcello Camici
Nell'immagine una veduta ricostruttiva delle attività di pescicoltura nel Portus Cosanus in epoca romana