In un libro, edito dall’Unità, pubblicato nel dicembre del 1986 dal titolo “Incontro al Duemila”, padre Bartolomeo Sorge rilasciò un’intervista ad un giovanissimo Stefano Ceccanti che varrebbe la pena leggere nella sua interezza e che, per ovvie ragioni di spazio, riportai in estrema sintesi in un capitolo de “La Penna d’Oca”, in cui sono raccolte varie testimonianze sul passaggio epocale di fine secolo.
Nel giorno della sua scomparsa, che ho appreso con rammarico e un senso di sincera mestizia, credo sia interessante riproporre quelle riflessioni che, condivisibili o meno, a me paiono ancora di stringente attualità.
“Giù i ponti levatoi, vediamo di farne il Millennio della solidarietà.
Il Duemila nascerà diverso solo se sapremo superare contrapposizioni e sovrapposizioni ideologiche, e perseguire una ricerca comune che parta dai bisogni reali della gente.
L’unica cosa che la nostra generazione può fare oggi, nel passaggio da un millennio all’altro, è cogliere le linee di tendenza emergenti dalla crisi, quelle che hanno un futuro nel senso di un umanesimo plenario, e favorirle, orientando e guidando così il processo di cambiamento; lasciando cadere, nello stesso tempo, tutto ciò che appare inadeguato alle nuove sfide del tempo, sebbene in passato abbbiano avuto una funzione anche importante di stimolo al progresso.
La sfida che il Duemila lascia alla Chiesa è proprio quella di realizzare un modo nuovo, più maturo di “presenza sociale” nel mondo.
Il Novecento, che sta per finire, rimarrà come l’esempio di modelli statici, prefabbricati. Un tentativo abortito, che ha condotto a due terribili guerre mondiali, ad alzare cortine e muri di divisione tra i popoli, a blocchi militari contrapposti.
Il Duemila nascerà diverso solo se ci sapremo ispirare ad un modello dinamico, superando, cioè, la contrapposizione o la sovrapposizione di una visione ideologica sull’altra, instaurando invece uno stile nuovo di collaborazione e di ricerca comune, a partire dai problemi reali della gente, da interpretare alla luce di valori di un’antropologia plenaria, aperta alla trascendenza.
Ormai tocchiamo con mano il fatto di essere un’unica, grande famiglia umana, pur nella diversità delle culture e della disponibilità di beni. E’ divenuto sperimentale ciò che fin qui si affermava prevalentemente in via di principio: che cioè, i mari, le montagne, le lingue, il colore della pelle… non servono più a dividere gli uomini tra di loro. Così, il bisogno di una qualità di vita più umana (intesa non soltanto come tutela dell’habitat fisico, ma soprattutto come possibiltà di cultura, di crescita morale, intellettuale e spirituale) sarà nel Duemila un fattore dinamico di coesione tra gli uomini..
Indietro non si torna. Questo mi rende imperdonabilmente fiducioso, e ottimista, sapendo che Dio stesso, attraverso le vicende non sempre lineari degli uomini, guida la storia verso un esito di liberazione e di salvezza”.
Danilo Alessi