Da anni cerco di far intervenire all'Elba, senza successo, Francuccio (Francesco) Gesualdi, uno dei ragazzi di Barbiana. Il reduce della scuola di Don Milani è preso da molti impegni. Quindi ho chiesto a lui di mandarci un contributo, un suo scritto sul tema bocciature. Lo ringrazio, ecco qua.
Stefano mi ha chiesto di dare un contributo al dibattito che si è sviluppato sul tema delle bocciature nella scuola all'Elba. Ho letto alcuni interventi su Elbareport e grosso modo sono tutti pronti a giustificare la selezione, eccetto Gingi.
Che dire, non posso che riprendere concetti che io ho detto anche in altre occasioni.
Don Lorenzo Milani cominciò a fare scuola perché aveva capito che l'ignoranza è la madre di tutte le miserie.
Stando accanto agli operai e ai contadini aveva capito che la miseria è figlia dell'inganno e del raggiro, possibile fra chi non capisce la realtà, ed è figlia del senso di impotenza tipico di chi non sa esprimersi.
Per questo la sua era una scuola viva di conoscenza della realtà, di approfondimento dei nostri diritti, di ricerca della verità. Ma soprattutto di arricchimento linguistico perché, come è scritto in Lettera a una professoressa: E' solo la lingua che fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l'espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli.
Anche i costituenti avevano chiaro che l'inferiorità culturale impedisce il pieno sviluppo della persona umana e all'articolo 3 della Costituzione avevano stabilito che: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ed ecco la scuola come uno degli strumenti fondamentali di realizzazione della democrazia e dell'uguaglianza.
Non a caso Piero Calamandrei, da giurista qual'era, definiva la scuola organo costituzionale e chi la demolisce, come fanno certi governi, andrebbero giudicati per attentato alla Costituzione.
Usando un linguaggio più semplice, il popolo definisce la scuola bene comune, intendendo, con questo termine, tutto ciò che svolge una funzione fondamentale a vantaggio di tutti. La lista dei beni comuni comincia con l'aria, l'acqua, il clima, le foreste, i mari, i suoli, ma prosegue con la sanità, la nettezza, i trasporti.
Ed ovviamente la scuola perché svolge tre funzioni fondamentali: garantisce dignità, garantisce civiltà e garantisce democrazia.
La scuola garantisce dignità perché fornisce le conoscenze sui propri diritti.
Chi non conosce i propri diritti politici è alla mercé dei potenti di turno. Chi non conosce i propri diritti sindacali è alla mercé dello sfruttamento padronale. Chi non conosce i propri diritti sociali è alla mercé dei burocrati. Solo chi ha la consapevolezza di cosa gli spetta come persona, come cittadino, come lavoratore, ha la capacità di difendere la propria dignità.
Ecco perché la scuola, a cui tocca fornire questo tipo di consapevolezza, è garanzia di dignità.
La scuola garantisce civiltà perché fornisce la consapevolezza dei propri doveri nei confronti della comunità e dei beni comuni. Se la dignità attiene a ciò che dobbiamo ricevere dalla comunità, la civiltà attiene a ciò che dobbiamo essere capaci di dare alla comunità. Sappiamo tutti che è più facile prendere che dare, il senso del dovere non ci viene spontaneo, è un seme che germoglia solo se
abbiamo interiorizzato una serie di valori: il valore della solidarietà, il valore della responsabilità, il valore della legalità, il valore del bene comune.
Da questi valori si valuta la civiltà di una società e poiché tocca alla scuola trasmetterli, per questo la scuola è garanzia di civiltà.
La scuola garantisce democrazia perché fornisce i saperi che mettono in condizione di partecipare.
Per partecipare ci vogliono tre capacita: capire la realtà, saperla interpretare, sapere formulare proposte di modifica. Il che implica capacità linguistiche, conoscenze storiche, geografiche, politiche, economiche. Senza queste capacità la democrazia non si esercita: si è pupazzi nelle mani dei ciarlatani che posseggono i giornali e le televisioni.
Non a caso, l'obiettivo perseguito da una certa destra autoritaria è la demolizione della scuola per poter esercitare l'autoritarismo dietro al paravento della democrazia apparente.
Affinché la scuola possa assolvere a queste funzioni ci vogliono alcune condizioni descritte in Lettera a una professoressa:
1. Deve essere universale, ossia deve essere aperta a tutti come sancisce l'articolo 34 della Costituzione.
Quando i costituenti affermarono questo principio, probabilmente pensavano agli emarginati del loro tempo: i figli dei montanari, dei mezzadri, dei disoccupati. Oggi gli emarginati sono altri, principalmente gli immigrati. Pertanto se la scuola vuole essere in linea con la
costituzione deve spalancare le porte a tutti, indipendentemente dal paese di origine, dalla lingua parlata in famiglia, dal colore della pelle, dal permesso di soggiorno dei genitori. Il diritto allo studio non può discriminare fra clandestini e regolari. Tutti i bambini hanno diritto a studiare per il solo fatto di esistere.
2. Deve essere accogliente, nel senso che deve permettere a tutti di sapere.
Oggi la scuola assomiglia più a un tribunale che a un luogo di apprendimento. E' organizzata più per giudicare che per insegnare. Questa è la stortura di una scuola improntata alla meritocrazia.
E' tempo di affermare che a scuola ci si va per imparare e che il suo obiettivo deve essere quello di di mettere tutti in condizione di sapere. La scuola deve entrare nell'ordine di idee che quando un ragazzo non riesce non va liquidato con un quattro.
Questa è la soluzione più comoda, quella che assolve la scuola e condanna i ragazzi.
La scuola deve convincersi che se i ragazzi non sanno non è colpa loro, ma della scuola che non si è impegnata abbastanza.
Rifarsela con i ragazzi perché non sanno è come prendersela con i malati perché non guariscono.
La scuola deve chiedersi perché il ragazzo non riesce, deve chiedersi dove ha sbagliato, deve chiedersi quali iniziative particolari devono essere prese e non ha preso. Non deve darsi pace finché non ha recuperato anche lultimo della classe.
3. Deve essere motivante nel senso che deve dare la motivazione per studiare.
Solitamente la scuola dà come stimolo l'arrivismo e il tornaconto personale. Ma non funziona, perché l'egoismo non fa parte dei giovani.
I giovani sono generosi, i vecchi sono egoisti e pur di imporre questo sentimento, la scuola dei vecchi fa scattare il ricatto del voto: se non studi ti metto quattro.
A Barbiana la motivazione per studiare era la politica intesa nel senso più nobile del termine. Non politica come gestione del potere, ma politica come partecipazione per gestire tutti insieme l'organizzazione della polis, della città, della comunità.
In Lettera a una professoressa, sta scritto: Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica,
sortirne da soli è l'avarizia. La politica per uscire tutti insieme dalle situazione che non vanno e costruire tutti insieme un mondo migliore: più equo, più pacifico, più pulito. Questa è la motivazione giusta per studiare.
4. Deve essere attuale nel senso che deve intrattenere sui temi del tempo presente, perché il suo scopo deve essere quello di formare dei cittadini sovrani.
Formare dei cittadini sovrani è un'arte difficile perché gli strumenti che deve fornire non sono i saperi, ma le capacità. Fra la trasmissione dei saperi e la costruzione delle capacità passa la stessa differenza che c'è fra dare un pesce e insegnare a pescare.
Troppo spesso la scuola si attesta sui saperi perché è la soluzione più semplice. La grammatica, la matematica, la fisica, la chimica, la
storia che si ferma a cinquanta anni fa non presentano dubbi di interpretazione o lati nuovi da scoprire. I saperi sono assodati, addirittura mummificati, non hanno bisogno di essere elaborati, ma solo trasmessi senza costringere gli
insegnanti alla fatica di pensare, ricercare, mettere in mostra le proprie lacune
e le proprie incertezze, come quando debbono aiutare i ragazzi ad esprimersi, ad argomentare, a capire, ad interpretare, a giudicare.
Una scuola concepita come palestra di approfondimento, di discussione, di partecipazione è faticosa perché non può fare ricorso a manuali o a libri di testo. Espone costantemente l'insegnante al nuovo, all'imprevisto e all'imprevedibile perché nessuno sa quale piega può prendere il confronto, quali argomentazioni emergeranno, quali obiezioni verranno avanzate, quali giudizi verranno espressi.
Ne viene fuori una scuola dove i ruoli non esistono più, perché non cè più un insegnante e degli allievi, ma un gruppo di persone con età
diverse, esperienze diverse, sensibilità diverse, bagagli culturali diversi che si confrontano su temi, realtà e verità più grandi di ogni singolo partecipante.
L'insegnante assume le vesti del fratello maggiore che in virtù della propria esperienza e delle proprie conoscenze, fornisce gli elementi di comprensione, insegna i segreti della ricerca, svela i tranelli della disinformazione, addestra all'elaborazione di pensiero, conduce il dibattito alla luce dei valori, aiuta a fare intravedere gli scenari futuri e le soluzioni possibili.
Futuro. ecco un'altra parola chiave della scuola democratica. La scuola dei saperi tiene la faccia rivolta al passato e spesso al passato remoto, perché il suo obiettivo è il mantenimento dello status quo.
La scuola della sovranità popolare, invece, la tiene rivolta al futuro, perché il suo scopo è formare dei ragazzi che sappiano individuare e risolvere i problemi del loro tempo. Per questo la scuola deve concentrarsi sull'attualità con tre obiettivi di fondo:
1) fare capire le ragioni, gli interessi, le concezioni, i meccanismi che hanno portato alla situazione presente;
2) le conseguenze possibili nel medio e lungo periodo:
3) le possibili soluzioni.
E' triste constatare come a distanza di 40 anni, Lettera a una professoressa sia ancora più attuale di prima, perché la scuola sta tornando indietro. Sta diventando di nuovo classista, autoritaria, selettiva.
Solo la partecipazione può interrompere questo processo reazionario. Serve un'opposizione unita e tenace formata non solo da professori, genitori e studenti, ma di tutti i cittadini, perché la scuola è un fatto di tutti. Un bene comune da salvaguardare con cura perché la società del domani dipende dalla scuola di oggi.
Gli interventi di alcune insegnanti su Elbareport mi fanno pensare che forse loro vedono le cose da un punto di vista individuale, come madri di un figlio/figlia a cui la famiglia, bocciato o passato, garantirà comunque la possibilità di arrivare fino alla laurea.
Noi abbiano sempre visto la scuola dalla parte degli ultimi e oggi stanno tornando alla grande, considerato un tasso di abbandono
scolastico del 15-20%. Il problema è la scuola per chi e per che cosa. Lettera a una professoressa è più attuale che mai.
Francesco Gesualdi